Nei momenti più difficili ero convinto che non avrei mai potuto vivere una vita di cui essere felice e che fosse meglio morire che vivere. Mi sbagliavo». Nel 2010, il ventunenne Andrew Lawton tentò il suicidio ingoiando un flacone di pillole in un bagno pubblico. La sua depressione era diventata insopportabile. «Avrei fatto ricorso al Maid (Medical Assistance in Dying, ndr) se fosse stato disponibile allora. Se lo avessi fatto, probabilmente non sarei qui ora».
Il tentativo di Lawton non riuscì e, dopo settimane di coma, iniziò una lunga convalescenza. All’inizio di quest’anno è stato eletto al Parlamento canadese ed è diventato uno dei principali sostenitori di una nuova legge per fermare l’estensione programmata dell’eutanasia a coloro che soffrono esclusivamente di disturbi mentali. Come spiega First Things, raccontando la storia di Lawton, il disegno di legge C-218, il “Right to Recover Act”, «renderebbe reato fornire assistenza medica al suicidio (MAiD) a qualcuno che soffre esclusivamente di una malattia mentale». Una pratica che sarà invece possibile in Canada a partire da marzo 2027, quando entrerà in vigore la legge C-7 approvata dal governo Trudeau. «La mia paura con l’espansione del Maid – spiega Lawton – è che normalizzi e legittimi questa pericolosa idea che la morte possa essere la risposta ai problemi di salute mentale».
La vicenda di Donna Duncan
Lo pensava anche l’infermiera psichiatrica Donna Duncan, piombata nella depressione dopo un grave incidente stradale. Le figlie, informate che avrebbe avuto accesso al Maid solo due giorni prima dell’appuntamento, erano convinte che la legge l’avrebbe protetta. Venne ricoverata nella struttura psichiatrica che un tempo dirigeva, ma neppure questo le impedì di ottenere il via libera, due giorni dopo il ricovero, per il Maid. «Quattro ore dopo abbiamo ricevuto un messaggio di testo: mia madre era morta e il suo corpo era stato portato al crematorio», ha raccontato la figlia Alicia durante la conferenza stampa del 9 luglio a Langley City, nella Columbia Britannica, dove è stata lanciata una campagna pubblica a sostegno del Right to Recover Act.
«Da allora mi è stato diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico. Anche a mia sorella è stato diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico. E, in base all’ampliamento della nostra legge nel 2027, questo ci darebbe diritto all’assistenza medica al suicidio. Anche questa ironia non ci sfugge».
Il precedente Nichols e altri casi estremi
Sono pochi i canadesi ancora consapevoli degli scenari che si aprirebbero se i propri cari suicidi optassero per l’eutanasia e la legge impedisse loro di fare qualsiasi cosa per salvarli. Tempi aveva raccontato la storia di Alan Nichols, 61 anni, depresso, ricoverato in ospedale proprio perché a rischio suicidio e ucciso con l’eutanasia da medici che ripetevano ai familiari: «Non potete fare niente per fermarlo. La decisione spetta solo ad Alan».
A Calgary, un padre disperato si è rivolto a un giudice per impedire alla figlia ventisettenne, affetta da autismo ma fisicamente sana, di accedere al Maid. Il giudice ha stabilito che il «diritto all’autodeterminazione» della figlia avrebbe prevalso sul «profondo dolore» del padre.
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Salvare i depressi dall’eutanasia
Il disegno di legge di Tamara Jansen vuole rilanciare un precedente tentativo di criminalizzare il Maid per malattia mentale, bocciato nel 2023 per un pugno di voti: 167 contro 150. Il Right to Recover Act ha già ottenuto il sostegno di numerose organizzazioni, tra cui Indigenous Disability Canada, Inclusion Canada e Physicians Together with Vulnerable Canadians. E la campagna #IGotBetter lanciata da Lawton per esortare i canadesi a raccontare le proprie storie di malattia e recupero funziona: «Stiamo ricevendo molte reazioni online e via e-mail», ha dichiarato Jansen al Catholic Register.
Molti si dicono «scioccati» dall’esistenza di una legge che consente allo Stato di uccidere le persone che soffrono di malattie mentali. Il disegno C-218 dovrebbe essere discusso «entro la fine di novembre, forse a dicembre».
«Questa non è assistenza sanitaria. È abbandono».
La prima lettura alla Camera dei Comuni è avvenuta il 20 giugno, quando Jansen ha esortato i parlamentari a combattere il C-7.
«Questa non è assistenza sanitaria. Questa non è compassione. È abbandono. La malattia mentale è curabile e la guarigione è possibile, ma solo se ci presentiamo e aiutiamo. I canadesi ci stanno guardando. Hanno bisogno che ci schieriamo per la vita, la dignità e la speranza. Immaginate che il figlio o la figlia di qualcuno stia combattendo contro la depressione da un po’ di tempo, dopo aver perso il lavoro o a causa della fine di una relazione. Immaginate che provi una perdita così profonda da convincersi che il mondo sarebbe migliore senza di lui. Ora immaginate questo: a partire da marzo 2027, secondo la legge canadese, potrebbe recarsi presso uno studio medico e chiedere il suicidio. Secondo la nostra legge, il sistema potrebbe legalmente fare proprio questo».
«È come gettare benzina sul fuoco»
Qualcosa che sta già accadendo. Come ricorda Right To Life, il Maid è stato proposto ai veterani delle Forze armate canadesi che chiedevano aiuto per affrontare il disturbo da stress post-traumatico. Oltre a legalizzare l’eutanasia e il suicidio assistito per motivi di salute mentale a partire da marzo 2027, una commissione parlamentare canadese ha raccomandato nel 2023 di renderla disponibile per i minori in determinate condizioni e di facilitarne l’accesso ai detenuti. «È come gettare benzina sul fuoco. Non sono sicuro che si possa contenere facilmente», ha ammesso Trudo Lemmens, professore di diritto all’Università di Toronto, che inizialmente aveva sostenuto la legge canadese sul suicidio assistito: «Uno degli aspetti più preoccupanti dell’esperimento canadese è che dimostra che, una volta iniziata la legalizzazione, c’è il rischio che un numero significativo di medici normalizzi questa pratica».
Con le conseguenze che sappiamo. Come scrive First Things, sono poche le leggi che, se approvate, salverebbero migliaia di vite. «Il disegno di legge C-218 è una di queste».
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