«Non so che cosa farò, dal prossimo inverno – afferma Geraint Thomas – potrei restare alla Ineos Grenardiers, mi hanno già illustrato alcuni ruoli che potrei ricoprire, oppure potrei trovare spazio fra i media, ma ci penserò a tempo debito. Quel che conta è non perdermi più compleanni, matrimoni, feste… Voglio esserci per la mia famiglia, ho perso troppo in questi anni».

Il campione gallese ha le idee chiare a proposito della sua intenzione di ritirarsi a fine stagione. Lo aveva preannunciato all’inizio, anzi già nel 2023 aveva fissato l’appuntamento per quest’anno, in fin dei conti quasi 20 anni in sella nel mondo del ciclismo sono sufficienti. Anni passati fra grandi vittorie e numerose avventure: due volte campione olimpico e tre volte campione del mondo con il quartetto dell’inseguimento e soprattutto il Tour de France conquistato nel 2018: «Fin da bambino sognavo di partecipare al Tour e alle Olimpiadi e di vincere. Ma averlo fatto è stata una follia».

Thomas inizialmente era gregario di Froome e nel finale di carriera è tornato a fare il luogotenente

Thomas inizialmente era gregario di Froome e nel finale di carriera è tornato a fare il luogotenente

Lasciare o non lasciare?

E’ anche questo che rende il suo addio dalle due facce. E’ chiaro, la voglia di staccare ci sia e Geraint non lo ha mai negato, ma sotto sotto quella scintilla ancora arde: «Lasciare è bello e brutto allo stesso tempo. Ci pensi, dici di sì, non vedi l’ora che arrivi quel fatidico ultimo metro. Ma poi quel metro diventa sempre più vicino e ti chiedi se non potevi tirare ancora un pochino avanti. Io mi trovo su quest’altalena da inizio stagione, passano nella mia testa infinite sensazioni, ma non cambio idea…».

Non è solamente una questione di età (Thomas ha 39 anni), ma influiscono anche altri fattori. Innanzitutto gli equilibri familiari e uno sport che giorno dopo giorno diventa più pericoloso. Poco tempo fa, in un programma televisivo nel suo Galles, Geraint raccontava proprio insieme a Sara Elen un episodio risalente al Tour 2015: «Tappa numero 16. In discesa dal Col de Mause Barguil sterza all’improvviso e m’investe. Io vado contro un palo del telegrafo, sterzo e finisco oltre la ringhiera, sparendo dalla vista sul ciglio della strada».

Geraint con sua moglie Sara Elen, giornalista. I due hanno un figlio, Macsen (foto Wales Online)

Geraint con sua moglie Sara Elen, giornalista. I due hanno un figlio, Macsen (foto Wales Online)

La paura di un grave incidente

«Io all’epoca lavoravo per S4C, un’emittente locale in lingua celtica. Ero in diretta, ma avevo visto quelle immagini, ero sconvolta. Ho iniziato a piangere in diretta perché nessuno sapeva dirmi che cosa gli fosse successo. Sinceramente non voglio vivere più nella paura di simili incidenti».

E’ tutto? No, probabilmente c’è anche la cruda analisi di un ciclismo che si evolve sempre più e che per Thomas è diventato ormai troppo pesante. A tal proposito è curioso un episodio, sempre raccontato dal campione gallese, che risale all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi.

Due ori olimpici per Thomas nel quartetto, a Pechino 2008 e Londra 2012 (foto Getty Images)

Due ori olimpici per Thomas nel quartetto, a Pechino 2008 e Londra 2012 (foto Getty Images)

«Ma deve parlarmene proprio ora?…»

«Andavamo già fortissimo, leggevo 400 watt di media quando da dietro sento: “Ciao G.Thomas”. Mi volto ed era Pogacar. Si mette al mio fianco e inizia a parlarmi, a raccontarmi di un orologio che ha visto e che vuole assolutamente comprarsi il giorno dopo. Io lo guardo e poi guardo il computerino: andavamo a 420 watt! Ho pensato: “Ma vuoi parlarne proprio ora? Io devo rimanere concentrato sulla respirazione se non voglio perdere il ritmo e farmi staccare…”. Ecco perché Tadej è proprio di un’altra categoria».

Di incidenti Geraint ne ha vissuti tanti, sin dal febbraio 2005 quando durante un allenamento su pista a Sydney, per la Coppa del Mondo, vide un pezzo di metallo della bici di chi gli era davanti staccarsi, farlo cadere e penetrare nel suo addome, causandogli un’emorragia interna e la rottura della milza, poi asportatagli. Oppure come al Tour del 2013, quando nella prima tappa una caduta gli costa la frattura del bacino, eppure Geraint tira avanti e quel Tour lo porta a termine. Chiude 140°, nella squadra che scorta Froome alla maglia gialla, ma tutti lo festeggiano come se avesse vinto lui.

Portabandiera ai Commonwealth Games, dove ha vinto nel 2014 l’oro in linea. Terzo invece nel 2018 a cronometro (foto Getty Images)

Portabandiera ai Commonwealth Games, dove ha vinto nel 2014 l’oro in linea. Terzo invece nel 2018 a cronometro (foto Getty Images)

Il trionfo giallo del 2018

D’altro canto la sua carriera resta legata strettamente al Tour, soprattutto a quell’edizione del 2018 dov’era partito come luogotenente di Froome, reduce dal trionfo al Giro d’Italia. Che il gallese fosse in forma si era ben capito con la vittoria al Delfinato e la conquista del titolo nazionale a cronometro, infatti lo staff del Team Sky vedeva in lui l’alternativa, il piano B. E la caduta di Froome nelle prime fasi costa a quest’ultimo un cospicuo distacco. Thomas a quel punto prende in mano le redini della squadra, nella tappa di La Rosiere va a prendere i fuggitivi e rivali Nieve e Dumoulin e si aggiudica la frazione vestendo la maglia gialla, ripetendosi il giorno dopo sull’Alpe d’Huez.

«Di quanto fosse importante quel che avevo fatto – raccontò in seguito Thomas – ne ho avuta l’esatta percezione qualche tempo dopo, quand’ero in vacanza in America ed ero andato con la famiglia a visitare il carcere di Alcatraz. Un tizio mi ha riconosciuto e lo ha detto agli altri, ho capito allora come quel simbolo della maglia gialla sia davvero iconico e riconosciuto a qualsiasi latitudine».

L’attacco a La Rosiere, che porterà il gallese del Team Sky a vestire la maglia gialla al Tour 2018

L’attacco a La Rosiere, che porterà il gallese del Team Sky a vestire la maglia gialla al Tour 2018

L’ultima pedalata nella sua Cardiff

Geraint è pronto. Resta da scrivere solo l’ultima pagina e il gallese sa anche dove farlo: al Tour of Britain, che si concluderà nella sua Cardiff: «Chiudere la mia carriera tornando a casa, davanti alla mia gente, sarà il più bello degli addii possibili. Vent’anni con gli occhi fissi davanti, guardando la strada, credo siano più che sufficienti. Ora voglio guardare il mondo da un’altra prospettiva».