Il debito pubblico italiano ha toccato un nuovo massimo storico superando la soglia dei 3.070 miliardi di euro a giugno 2025, secondo i dati diffusi da Bankitalia.
Si tratta di un aumento di 18 miliardi rispetto al mese precedente. Il tema della tenuta dei conti pubblici non è mai stato così attuale.
Aumentano le entrate tributarie
Ma è pur vero che le entrate tributarie continuano a crescere, con +8,5 miliardi nei primi sei mesi dell’anno, per un totale di 257,3 miliardi, pari a +3,4% rispetto al 2024. Nonostante ciò la dinamica del debito conferma che il trend è strutturale e che azzoppa le prospettive di sviluppo del Paese.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti non fa mistero del fatto che l’elevato debito pubblico rappresenta un vincolo costante per le scelte di politica economica. Gli altri esponenti della maggioranza preferiscono però vedere il bicchiere mezzo pieno, interpretando le maggiori entrate come un segnale positivo. Forza Italia propone di destinare una parte del maggior gettito (circa 4,2 miliardi) a un taglio dell’Irpef per il ceto medio, mentre Fratelli d’Italia rivendica che meno tasse generano più entrate.
Spread ai minimi dal 2010
Un dato incoraggiante arriva dallo spread: il differenziale tra Btp e Bund tedeschi è sceso sotto quota 80 punti base, ai livelli più bassi dal 2010. Un segnale che i mercati, almeno per ora, giudicano sostenibile la traiettoria dei conti italiani, soprattutto se confrontata con quella della Francia, che presenta un debito/Pil più contenuto (114%) ma un deficit elevato e instabilità politica.
La riduzione dello spread significa minori interessi da pagare sui nuovi titoli emessi, e quindi un sollievo momentaneo per le casse dello Stato. Ma resta una fotografia con luci e ombre: lo spread dipende anche dalle difficoltà economiche della Germania, che oggi rende i Btp relativamente più appetibili.
Debito pubblico record, perché è un problema per i cittadini
Il dato del debito pubblico, se considerato in termini assoluti, non racconta tutto. È normale che il debito cresca nel tempo perché lo Stato spende più di quanto incassa e deve rifinanziare i titoli in scadenza. L’indicatore realmente significativo è il rapporto debito/Pil, oggi al 137,9%, il secondo più alto in Europa dopo la Grecia (152,5%).
La conseguenza più concreta è che ogni anno lo Stato destina oltre 85 miliardi di euro al pagamento degli interessi. Si tratta di risorse che non possono essere utilizzate per sanità, scuola, infrastrutture o riduzione delle tasse. In altre parole, un debito così elevato significa più tasse per i cittadini e meno servizi pubblici, perché il bilancio statale è vincolato dal peso crescente degli interessi.
Un elemento positivo emerge invece dai conti delle amministrazioni locali, che nel mese di giugno hanno ridotto il loro debito di 1,7 miliardi. Bankitalia sottolinea come i Comuni si confermino spesso più virtuosi dello Stato centrale nella gestione delle risorse, riuscendo a contenere la spesa e migliorare l’efficienza.
Secondo gli economisti, il debito pubblico potrà iniziare a scendere solo a partire dal 2027, se la crescita del Pil sarà superiore all’1% annuo e se verranno tagliati sprechi e spese improduttive. Le nuove regole europee del Patto di stabilità imporranno infatti un percorso di riduzione graduale del rapporto debito/Pil.
Le strategie possibili includono l’emissione di titoli a lungo termine per diluire i rischi, la lotta all’evasione fiscale, una maggiore efficienza della spesa e politiche mirate alla crescita e all’innovazione. Ma i rischi restano elevati: un rialzo improvviso dei tassi di interesse o un rallentamento dell’economia globale potrebbe riportare in alto lo spread e aggravare la situazione.