di Teresa Ciabatti
La sua è una delle voci dell’estate, ma dieci anni fa le cose si erano messe male: «Ho cominciato a insegnare musica ai ragazzi, pensavo che sarebbe finita così»
La grande sorpresa del Festival di Sanremo 2025, insieme a Lucio Corsi, è stata di certo Serena Brancale, classe 1989. Grazie a Anema e core, poi al duetto con Alessandra Amoroso nella serata delle cover (If I Ain’t Got You di Alicia Keys) Brancale fa capire chi è. Ed è qualcosa che non somiglia a niente. Un misto di dialetto e voce straordinaria, di jazz e di spettacolo, una combinazione di tanti elementi che la rendono unica. Mamma venezuelana, papà barese, era già stata a Sanremo dieci anni prima, ma con una canzone difficile (Galleggiare), che non la rappresentava del tutto – per sua stessa ammissione. Dopo il primo Sanremo difatti la sua vita non cambia, e lei torna a Bari.
Dopo questo Sanremo invece tutti si accorgono di lei. Al successo di Anema e core, segue Serenata con Alessandra Amoroso – altro grande successo. Serena Brancale oggi è la cantautrice più sorprendente che ci sia in circolazione. Una donna solida che ama stare in casa, passare il tempo con la famiglia, e Dario, il fidanzato pugile.
Gli inizi?
«Fin da piccolissima cantavo e ballavo. Mia sorella non ballava. Mia madre, venezuelana, che amava il ballo non poteva sfogarsi con lei. Poi nasco io».
E?
«M’insegna flamenco, danza del ventre, balli latinoamericani. Ballavamo in camera, in salotto. A casa nostra era sempre festa, bastavamo io e mia madre a fare festa».
Quando la musica diventa studio?
«Da ragazzina prendevo lezioni di canto. Cantavo Alicia Keys, Giorgia, le rifacevo uguali. Un giorno l’insegnante mi dice: “devi trova il modo di essere tu”».
Reazione?
«Mi sono offesa».
Ma?
«È stata la prima spinta per cercare la mia voce».
Chi era Serena bambina?
«A sei anni inventavo balletti con le amiche. Serenella, Maira, Monica, e Simona. Le chiudevo in camera mia a provare le coreografie. Poi, con indosso i vestiti di mamma, tacchi, trucco, scendevamo in salotto».
In salotto.
«I nostri genitori guardavano lo spettacolo. Ci applaudivano».
Suo ruolo nello spettacolo?
«Shakira».
Nella vita?
«Facevo danza, scuola di canto, e dai quindici anni lezione di violino. Il violino me lo ha imposto mia madre. Oggi sono felice di averlo studiato, mi ha aiutato a andare a tempo, a capire le note. Mi ha insegnato a leggere uno spartito».
A quindici anni?
«Volevo solo ballare e cantare. Mia madre però era severa, e m’imponeva un’ora al giorno di esercizi di violino. C’è stato un periodo in cui mi sono rifiutata, dicevo di stare male, ma mia madre non mi credeva. Diceva che avevo sempre una scusa per il violino».
Quindi?
«Un giorno faccio la pipì arancione. Stavo male veramente».
Cioè?
«Epatite B – mangiavo troppi frutti di mare».
Cura?
«Flebo su flebo con mia madre che mi chiedeva scusa».
Quanto sua madre ha contribuito alla formazione della cantautrice?
«Lei in me vedeva il talento. Prima di me c’era stata mia sorella, oggi insegnante di pianoforte al conservatorio di Potenza. Prima di me insomma era lei, Nicole, la bambina prodigio di casa. Ma Nicole, che peraltro mi ha diretta a Sanremo, prende presto la sua strada, e fa concerti per il mondo. Io nell’infanzia non ho molti ricordi di Nicole a Bari».
Perciò?
«Mamma si concentra su di me. Le davo soddisfazione: ballavo, cantavo, recitavo».
A quattordici anni lei recita in un film.
«Di mio cognato Alessandro Piva. Da lì mia madre mi fa fare molti provini».
Esempio?
«Il provino per The Passion di Mel Gibson, i provini per tutti i film ambientati in Puglia. Un giorno Roma: il film di Pieraccioni. Con mamma prendiamo il pullman, viaggiamo di notte. Arriviamo a Roma la mattina presto, hotel vicino alla stazione. Tutto coi piccoli risparmi di mia madre, lei credeva tanto che io potessi fare l’attrice».
Quel provino?
«Cercavano la figlia del protagonista, la figlia di Pieraccioni».
Esito?
«Non mi prendono».
Intanto?
«Continuo scuola di danza e di musica, m’inscrivo al liceo classico. Avrei voluto fare l’artistico perché mi piaceva disegnare, mia madre mi ha imposto il classico».
Nel frattempo la musica?
«I matrimoni. A vent’anni comincio a cantare ai matrimoni. Grazie alla scuola di musica di Bari si presentavano le occasioni: vuoi cantare a un matrimonio a Andria? Andria, Barletta, Trani. In primavera iniziava la stagione, un matrimonio dietro l’altro».
Suo stato d’animo?
«Felicità. Avevo il repertorio di cover, da Giorgia a Pino Daniele, e in mezzo ci infilavo un po’ di Puglia. In genere ‘sta uagnedd, uno mio testo che raccontava di me, ‘sta uagnedd significa questa ragazza in barese. Questa ragazza che ride e canta, questa ragazza con la batteria».
L’applaudivano?
«Non mi ascoltava nessuno. La gente parlava mentre io cantavo, e andava bene così. Erano matrimoni, non concerti. Per me fare un mio pezzo significava non perdere l’orientamento, quella cosa di essere me stessa che diceva l’insegnante di canto».
Non la umiliava l’indifferenza?
«No».
Che ha comportato la fatica iniziale?
«Gavetta, formazione».
Primo Sanremo?
«Ho venticinque anni, sono impreparata, non ho dietro una struttura di persone giuste, tantomeno una struttura interiore. Mi trema la voce, la canzone è difficile, mi sento come alla verifica di latino».
Momento di debolezza?
«Nemmeno il tempo, vengo eliminata subito».
Dopo?
«Ho pensato: è finita. Insegnavo musica ai ragazzi, parallelamente facevo i miei concerti, ero però certa di rimanere nella nicchia jazz».
In questi dieci anni ha mai pensato: tornerò a Sanremo?
«Mai».
Motivo?
«Mi piaceva insegnare. Coi ragazzi analizzavamo i testi di Mahmood, Mengoni, Elisa. Davo esercizi di scrittura che avvicinavano alla poetica di ogni artista. Insomma, lavoravo dietro le quinte, e sentivo che era il mio posto».
Tutto cambia con Baccalà, la canzone messa in rete che diventa virale?
«Milioni di visualizzazioni».
La prima volta che la riconoscono per strada?
«In metro. Un ragazzino seduto accanto a me sta sentendo Baccalà sul telefono, d’un tratto si volta e mi chiede se sono io».
A quel punto?
«Canto in metro con lui e agli amici».
Lì capisce di essere famosa?
«In realtà me lo diceva mio fratello. Mi chiamava per dirmi: “amore, sono in metro, ascoltano tutti Baccalà”. Sempre in metro, lo so. Ma io non ero sicura che fosse vero, mio fratello esagera.»
Da quel momento?
«Un susseguirsi di eventi, tra cui Baccalà cantato con Annalisa e la partecipazione a Musicultura, che porta alla scrittura di Anema e core, quindi Sanremo».
Baccalà nel suo percorso di cantautrice jazz?
«Un artista può essere questo e quello, penso a Bobby Mcferrin, cantante raffinato, direttore d’orchestra jazz, che fa una canzone semplice come Dont’Worry, Be Happy. O Lucio Dalla che è Attenti al lupo e insieme Futura, così tanti altri».
Da dove viene la contaminazione per lei?
«Disciplina e voce da mia madre. Dialetto e ironia da mio padre».
Suo padre?
«È stato un calciatore di serie C. Ha giocato nel Monopoli, nel Marsala e nel Catanzaro. Ancora oggi, in Puglia, lo riconoscono».
Fine carriera?
«A trent’anni, prima della mia nascita. Io non ho conosciuto papà calciatore, ho solo visto le foto. Poi c’era la sensazione che fosse famoso. A Monopoli lo fermavano per strada».
Suo padre dopo il calcio?
«Torna a lavorare nella ditta di mio nonno: “Mobili rustici Brancale”. Fa il falegname, lui ha sempre amato il legno».
Rimpianto per il calcio?
«Essere calciatori allora non era come adesso. Sapevi che la carriera sarebbe finita presto, era nella natura delle cose. Per mio padre il ritorno alla vita normale non è stato un trauma».
Come vivrebbe il fine carriera Serena Brancale?
«Ci penso spesso: aprirei una scuola di musica, la scuola della zia, già so il nome. Insegnerei, mi manca insegnare, l’ho fatto per otto anni».
Dicevamo: come suo padre condiziona la sua musica?
«Papà è il mio Checco Zalone. Il suo modo di far ridere, di raccontare le storie, la mimica, il movimento delle sopracciglia. Il mio mettermi sul palco a tu per tu col pubblico deriva sicuramente da lui. Questa specie di sfrontatezza».
Il condizionamento di sua madre?
«Lei aveva una voce bellissima. Nata in Venezuela, arriva in Italia da bambina, a Ceglie del Campo, Bari. Era l’artista del paese. Un giorno l’artista del paese conosce il calciatore del paese, si innamorano ascoltando le cassette di Pino Daniele».
Da qui l’importanza di Pino Daniele per lei?
«Anche».
Tornando ai suoi.
«Si sposano e vanno a vivere a Valenzano. Nasce mia sorella, sette anni dopo io».
Un ricordo di sua madre?
«Io ho otto anni, sono a lezione di flamenco. Mia madre aspetta in macchina fuori dalla scuola di danza. Un’ora chiusa in macchina, poi arrivo io, e mi porta a violino. Certe volte, un attimo prima di uscire, me la guardavo dal vetro della porta. Se devo pensare all’amore, mi viene in mente questa immagine, mia madre che mi aspettava».
Nel 2020 sua madre muore.
«Il mio grande dolore».
Cosa conserva di lei?
«Scarpe, ho il suo stesso numero, 37».
Altro?
«Vestiti, cappelli. Questo vestito che indosso? Suo».
Come la ricorda?
«Su whatsapp ho creato delle Gif. Una di mamma che prepara le melanzane, cucinava spesso melanzane. Un’altra di mamma che si volta e guarda fisso in camera, con sotto la scritta “ti sto guardando”, la mando a mia sorella e a mio fratello. Se loro sono giù di morale, mando lei, che significa: “ti sto guardando”».
Ti sto guardando e?
«Non fare stronzate, sii felice».
Il suo modo di ricordarla?
«Le Gif sono un modo di tenerla in vita. Io voglio tenerla in vita».
Anche con la musica?
«Anche».
Una strofa precisa?
«Stanotte saremo due stelle del cinema».
CHI E’
La vita
Serena Brancale è nata a Bari il 4 maggio 1989. La madre, italo-venezuelana, è musicista, il padre ex calciatore. Ha studiato violino e canto jazz, nel 2009 è stata scartata ai provini di X Factor. Dal 2024 è fidanzata con il pugile Dario Morello (foto a sinistra).
La carriera
Il primo disco, Galleggiare, esce nel 2015, in seguito alla sua prima partecipazione a Sanremo. Nel 2019 pubblica Vita da artista, in cui collabora con il rapper Willie Peyote. Dopo la cover di Je so’pazzo di Pino Daniele esce il suo terzo album Je sò accussì, dalle sonorità funk, insieme ad artisti come Ghemon. Sempre del 2022 è la cover di Vieni a ballare in Puglia di Caparezza; al 2023 risale la collaborazione con Clementino. Il singolo Baccalà del 2024, che mescola elettronica e dialetto barese, diventa virale sui social, anticipando la seconda partecipazione a Sanremo con Anema e core. Dal 2025 collabora con il programma tv Belve ed è giudice al talent show Like a Star condotto da Amadeus
17 agosto 2025 ( modifica il 17 agosto 2025 | 17:16)
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