Quella del 2025 è stata un’estate cadenzata dalle morti accidentali sulle montagne italiane: si va verso quota 100 vittime. Secondo il Soccorso Alpino italiano, il turismo in queste zone è in grande aumento, ma non è accompagnato da un’adeguata formazione per affrontare il trekking nei posti più impervi.
I dati che allarmano
Soltanto dal 21 giugno al 23 luglio, in poco più di un mese, si sono registrate 83 morti: quasi 3 decessi al giorno. A raccogliere i dati è il Corpo nazionale del Soccorso Alpino (Cnsas). Nel mese di agosto il trend è stato lo stesso, con cifre costanti che si avvicinano sempre di più al centinaio. Il report conta fino al 23 luglio, per il Soccorso Alpino «ad oggi è impossibile fornire un dato aggiornato, ma i nostri interventi non si sono certo fermati in queste ultime settimane, anzi», ha spiegato Simone Alessandrini. Nel 44% degli interventi del Soccorso Alpino, si tratta di escursionisti colpiti da malori o caduti, mentre il restante 56% per tutte le altre attività. Ultimo, l’incidente sul Castore del 14 agosto, in cui sono deceduti un trentaquettrenne della provincia di Pisa e una trentaseienne di Padova precipitando sul ghiacciaio mentre stavano scendendo scendere dal versante ovest per completare la traversata della montagna.
«Le montagne italiane sono affollate da persone non attrezzate»
Il turismo di montagna è schizzato alle stelle negli ultimi anni. In molti hanno deciso di abbandonare ombrellone e lettino per rifugiarsi al fresco, tra i boschi alpini. Secondo Alessandrini del Soccorso Alpino, però, questo cambiamento delle abitudini turistiche non è stato accompagnato da un’adeguata preparazione: andare in montagna non è come andare in città. C’è bisogno di particolari accortezze per la propria sicurezza. «Non tutti fanno corsi preparatori e i non iscritti al Club Alpino Italiano sono quasi il 90%. Le montagne italiane, da nord a sud, sono quindi affollate da persone che non sono attrezzate per questo tipo di turismo», ha detto a riguardo.
Uno degli effetti collaterali dell’overtourism
In molti, negli ultimi mesi, hanno lamentato la presenza di turismo selvaggio nelle zone alpine. «Una grande fetta (di turisti) lo fa solo per potere scattare una foto da postare sui social senza avere le conoscenze tecniche – mi riferisco anche agli itinerari idonei – o banalmente l’abbigliamento adatto. In molti indossano le scarpe sbagliate, le scarpe da ginnastica che si usano in città, o affrontano i sentieri con magliette di cotone, non adatte». Anche il presidente del Cai Alto Adige, Carlo Zanella, si era speso sul tema: «ho visto gente salire al Seceda con l’ombrellino da sole e le ciabatte e restare bloccato su perché la funivia aveva chiuso e non si era informato sugli orari degli impianti», aveva raccontato al Corriere Alto Adige durante il caos per code della funivia per il Seceda. Secondo Alessandrini, non si è ben consapevoli dei rischi, si tratta di «una forma di incoscienza: chi sceglie di salire in pantaloncini, in alcuni casi senza portarsi dietro neanche l’acqua mette a rischio la propria vita».
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