di
Gaia Piccardi
La vittoria a Wimbledon non ha spostato di un millimetro Jannik dalla sua missione, quella tra l’italiano e lo spagnolo è la musica del prossimo decennio
«Vagno, vuoi che ti faccio godere?». Sono state due settimane piene di sinnerismo, cameratismo e virili confronti, a Cincinnati, provincia distaccata d’Italia. Come a Roma, il Master 1000 di casa, a sventolare il bandierone sul tennis mondiale sono Jannik Sinner, l’altoatesino che domina la classifica Atp, e Jasmine Paolini, la toscana che si rifiuta di soccombere alla confusione tattica e ritrova ordine e risultati in Ohio, nel mezzo del nulla, epicentro dell’ennesima rinascita.
Appuntamento a stasera: dall’altra parte dei sogni azzurri, Carlos Alcaraz di professione nemesi e Iga Swiatek rianimata da Wimbledon e dal profumo di numero uno, 5-0 nei confronti diretti, solo una volta (Bj King Cup a Malaga) Jasmine è riuscita a trascinarla al terzo set. Se fosse facile, alla lottatrice nata in Garfagnana non interesserebbe: archiviata l’epoca Furlan, ha messo alla porta dopo pochi mesi di collaborazione Marc Lopez, nel suo angolo il coaching è affidato a Sara Errani, compagna di doppio (a Cincinnati ko in semifinale), Federico Gaio è la figura tecnica in prestito dalla Federazione, con il compito di dissipare il caos. Sinner invece ha idee chiarissime: ha compiuto 24 anni battendo la sorpresa mancina Terence Atmane (uno che prima cita il paradosso di Fermi e poi regala Pikachu, una carta dei Pokemon, ma è il pensiero che conta) e dimostrando di essere cresciuto in autorevolezza anche all’interno del suo team.
È un Sinner più grande, anagraficamente e — se possibile — in personalità, il giocatore che stasera ritrova Carlos Alcaraz nella finale del settimo Master 1000 targato 2025 (Spagna-Italia 2-0), trentasei giorni dopo l’incrocio storico sui prati di Church Road. La vittoria a Wimbledon non ha spostato di un millimetro Jannik dalla sua missione («Giocare più partite possibile in meno tornei possibile»), su sei prove affrontate quest’anno — ci sono da considerare i tre mesi di stop per le conseguenze del Clostebol — Cincy è la quinta finale, la quarta con Alcaraz in questa sinfonia in cui uno suona la sua nota a intensità costante e volume assordante e l’altro svaria sul pentagramma producendo suoni celestiali, ma anche armonie stonate. È la musica del prossimo decennio. Oggi, senza dubbio, il tennis sono Sinner e Alcaraz.
Quell’arroganza tennistica di cui parla da tempo Riccardo Piatti, tecnico che lo conosce bene, ormai è visibile a tutti in partita e allenamento, Sinner voleva far godere Vagnozzi con un serve and volley di brutale violenza sul cemento dell’Ohio, poi con Mannarino il coach gli ha suggerito di servire sul dritto del francese, Jannik ha perso il punto: quel pollice alzato verso il box sapeva tanto di sfottò (ma non rideva). Con Atmane in semifinale, il consiglio è tornato quello giusto: «I primi punti a tutta, poi se li perdi riprendi energia e la tieni per il game dopo». È stato riammesso nello staff il preparatore Ferrara, che lo fa stare bene («Mi serviva qualcuno che conoscesse meglio il mio corpo, forse Panichi non è stata la scelta migliore: mobilità, stabilità e tenuta sono migliorate, stiamo facendo un buon lavoro»), nello swing americano lo accompagna l’amico tennista Nicolò Inserra, che gli ricorda da dove è venuto, e dietro l’angolo c’è l’Open Usa. Se la striscia vincente di Jannik sul cemento dura da 26 match (è iniziata a Shanghai 2024), c’è da sottolineare che il Master 1000 di Cincinnati è la settima finale consecutiva di Alcaraz, alla faccia degli alti e bassi. In Ohio lo spagnolo è rimasto in campo un’ora e 19’ in più del barone rosso, ha perso due set, non ha giocato tie break al contrario di Jannik, che ne ha scalati a mani nude tre (Diallo, Mannarino, Atmane), una delle specialità della casa.
«Terence nel primo set stava servendo così bene che non ho avuto alcuna occasione di break. Allora ho deciso di usare i game che perdevo velocemente per decifrarlo. E ho imparato a leggere il suo servizio» ha spiegato il numero uno. Dal paradosso di Fermi, alla legge di Sinner.
Nell’angolo di Alcaraz, con Ferrero che lo aspetta a New York, c’è Samuel Lopez. Nella battaglia con Rublev è stato determinante: ha sostenuto lo spagnolo sempre con il sorriso sulle labbra, alleviandolo dalla pressione che a volte lo schiaccia. Ed è per questa e mille altre variabili, incluse umidità e caldo, che Cincy sarà una piccola maratona rovente in grado di indirizzare l’Open Usa. Arrivare nella grande mela con buone sensazioni e l’arcirivale battuto, aiuterà a scrivere un’altra paginetta di storia. Lo stesso auspicio vale per Paolini. Jannik e Jas alla conquista dell’America.
18 agosto 2025 ( modifica il 18 agosto 2025 | 07:08)
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