di
Margherita De Bac
Il ministro della Salute dopo la decisione di azzerare il comitato per i vaccini, dopo il caso delle posizioni di due componenti critici sull’obbligo vaccinale. La scelta è stata criticata (anche) da Meloni, ma lui spiega: «Sono sereno»
«Ho fatto quello che mi diceva la coscienza. Sono un tecnico, non un politico. Decido da medico e ricercatore che crede nei vaccini». Agli amici che lo hanno chiamato per tutta la giornata il ministro Orazio Schillaci ha parlato da uomo sereno, che si è tolto un peso e ora spera di godersi un po’ di pace, in attesa degli impegni dopo l’estate.
Al primo posto la questione dello scudo penale per i medici. La legge delega sulla riforma delle professioni sanitarie, che includeva anche la stabilizzazione della norma, avrebbe dovuto essere approvata nell’ultima riunione del Consiglio dei ministri. Invece è slittata a dopo le ferie, pare per mancanza di accordo con la Giustizia, sebbene questi ultimi abbiano smentito. I sindacati di categoria speravano di avercela fatta e il ministro si era preso l’impegno. Una delusione da incamerare.
Anche delle nomine per il nuovo Nitag, il gruppo di consulenza sui vaccini appena azzerato, si riparlerà con calma, selezionando con attenzione i 22 membri che come è scritto nel decreto del 5 agosto a firma Schillaci «operano seguendo un approccio di valutazione delle tecnologie sanitarie coerente col processo decisionale suggerito dalle linee guida dell’organizzazione mondiale della sanità» e «indicando le evidenze scientifiche che sostengono le decisioni di politica vaccinale, valutando l’attendibilità e l’indipendenza delle fonti utilizzate e verificando l’assenza di conflitti di interessi».
La presenza dei due membri contestati, il pediatra Eugenio Serravalle e il patologo clinico Paolo Bellavite, poco si addiceva a questo identikit, secondo le critiche piovute da ogni parte del mondo scientifico. A premere di più per la loro presenza nel comitato di consulenza erano stati Fratelli d’Italia e Lega. E infatti la premier Giorgia Meloni, dopo l’azzeramento deciso da Schillaci, si è volutamente lasciata sfuggire quel commento ufficioso: «La scelta di Schillaci non era concordata. Noi siamo per il pluralismo».
Parole che, analizzate a freddo, al ministero non vengono interpretate come un segnale di rottura. Un ministro non è tenuto a concordare con il capo del governo i suoi decreti. Quanto al pluralismo, è un principio sacrosanto se le opinioni vengono sostenute da dati scientifici e non dall’ideologia. Certo è che la prossima commissione sarà attentamente valutata in prima persona da Schillaci e non sarà solo frutto del lavoro della sua segreteria. In questa tornata le segnalazioni sono piovute da partiti e regioni, neanche il Nitag fosse una stanza dei bottoni anziché un organismo di consulenza come tanti, i cui pareri non sono vincolanti. Le polemiche si sono concentrate tutte su Bellavite e Serravalle ma i loro non sono gli unici nomi sui quali soffermarsi. Nella lista, accanto a figure di prim’ordine (l’immunologo Alberto Mantovani, cita ad esempio la microbiologa Anna Teresa Palamara) comparivano figure che ci si chiede come possano essere finite lì, per quali meriti e competenze.
Luana Zanella, Avs alla Camera, critica le modalità con cui Giorgia Meloni ha comunicato il suo disaccordo con la decisione di Schillaci di azzerare il Nitag: «Non lo ha smentito pubblicamente, non ha voluto metterci la faccia, ha lasciato intendere. Così Palazzo Chigi insulta la scienza». Mariastella Giorlandino, che rappresenta l’Uap, Unione di ambulatori e poliambulatori privati: «Ringraziamo il ministro. Quello che ha dato è un segnale. La salute pubblica deve essere estranea a lobby e pressioni».
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18 agosto 2025
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