di
Monica Ricci Sargentini

Il 28 febbraio il presidente ucraino viene umiliato in diretta tv. La miccia accesa da Vance e la dura risposta del leader ucraino: «Dal 2014 combattiamo da soli»

Che sarebbe stato un incontro difficile se lo immaginavano tutti ma nessuno avrebbe potuto prevedere quell’epilogo terribile con il presidente ucraino costretto a lasciare la Casa Bianca mentre Trump gli urla: «Non hai le carte» Un dramma che si consuma in diretta tv, lasciando il mondo attonito, sullo sfondo l’incubo di una terza guerra mondiale.

Quella mattina, il 28 febbraio, mentre era in auto per recarsi alla Casa Bianca, Volodymyr Zelensky continuava a ripetersi quanto fosse vitale il sostegno degli Stati Uniti e che avrebbe dovuto fare del suo meglio per garantirlo. Certo Trump l’aveva già attaccato personalmente chiamandolo «dittatore impopolare che è stato la causa della guerra», facendo sembrare lui l’aggressore che non esita a sfruttare la generosità un po’ beota degli alleati. Ma il leader ucraino il 23 febbraio aveva rassicurato tutti: «Trump non è stato simpatico nei mei confronti, ma non me la prendo, c’è ben altro in gioco». La sua visita alla Casa Bianca è il tentativo estremo di evitare di restare senza voce davanti a un negoziato diretto Usa-Russia che lo esclude.



















































Zelensky capisce di essere finito in una trappola quando ormai è troppo tardi. Invece della «photo opportunity» con un paio di battute nello Studio Ovale prima
del negoziato a porte chiuse, si ritrova a essere coprotagonista di un talk show
di 50 minuti
nel quale deve fronteggiare, oltre allo straripante Trump,
l’ostilità del suo vice, J.D. Vance e anche del segretario di Stato, Marco
Rubio
, e gli interventi, di certo non amichevoli,dei giornalisti presenti. Una domanda di Brian Glenn, reporter di Real America’s Voice  «Perché non porta la giacca e la cravatta?» scatena le risate del vicepresidente JD Vance, seduto a sinistra di Trump e infastidisce Zelensky.  Il clima è irriverente. 

Le accuse a Biden e all’Europa

Trump accusa Joe Biden di non aver saputo gestire la situazione e  questo ripete che l’Europa ha fatto molto meno dell’America. Zelensky scuote il capo, si capisce che non è d’accordo, ribadisce che non ci si può fidare di Putin, che un cessate il fuoco deve essere necessariamente accompagnato da garanzie americane per la sicurezza dell’Ucraina libera, altrimenti Putin prima o poi riprenderà l’invasione, visto che già a suo tempo violò 25 volte la tregua raggiunta dopo l’annessione della Crimea. Parole che non piacciono al presidente Usa che però si limita a ironizzare: «Certo questi due non si vogliono bene. Ma se vogliamo mettere fine alla guerra io devo mediare e non posso farlo se mi schiero con una parte: è contrario a tutta la mia filosofia di dealmaking»

La miccia accesa da Vance

È il vicepresidente J.D. Vance ad alzare i toni quando accusa Zelensky di boicottare le trattative di pace intraprese dagli Stati Uniti. Lui non ce la fa più e replica stizzito: «Siamo stati occupati fin dal 2014 e abbiamo continuato ad avere battaglie e morti fino al 2022, anche prima dell’invasione. Soli contro la Russia durante la presidenza di Obama, di Trump, di Biden: non capisco di quale diplomazia stai parlando».

Vance a quel punto lancia l’affondo finale: «Sei irriguardoso, manchi di rispetto a me e al presidente, ne abbiamo abbastanza dei tuoi tour propagandistici. Trump ti riceve nonostante tu a ottobre abbia fatto campagna in Pennsylvania per la sua avversaria democratica alle presidenziali e tu non l’hai nemmeno ringraziato». Anche Trump alza i toni dello scontro accusando Zelensky di far correre a tutti il rischio di una Terza guerra mondiale. 

Poi lo inchioda a uno spietato «non hai carte da giocare» e lo congeda senza negoziato né la firma dell’accordo commerciale  sulle terre rare. Salta la conferenza stampa congiunta, salta il pranzo chye doveva suggellare l’intesa.  Zelensky si infla con la coda tra le gambe nel Suv nero che lo attendeva sulla soglia della West Wing, senza rispondere alle domande dei media. Trump scrive su Truth: «Ho determinato che il presidente Zelensky non è pronto per la Pace se l’America è coinvolta, perché sente che il nostro coinvolgimento gli dia un grosso vantaggio nei negoziati. Io non voglio vantaggi, voglio la PACE. Ha mancato di rispetto agli Stati Uniti d’America nell’amato Studio Ovale. Può tornare quando è pronto per la Pace».

Nei giorni seguenti Zelensky viene criticato, soprattutto in patria, per essere stato troppo ingenuo e per aver parlato in inglese. «Servirsi di un interprete lo avrebbe aiutato ad alleggerire i toni, a usare sfumature, a prendere tempo. Si è messo in una posizione di inferiorità, vestito da militare di fronte a interlocutori molto più alti, meglio vestiti, che dominavano la scena» dice per esempio la scrittrice ucraina Elena Kostioukovitch. Critiche di cui il presidente ucraino oggi farà tesoro per salvare una relazione altalenante, forse mai cominciata e non sanata neanche dalla «pausa vaticana» (quando si incontrarono «per una quindicina di minuti» nella Basilica di San Pietro). Ma che mai come oggi ha bisogno di essere rinsaldata.

18 agosto 2025