C’è un filo rosso, sottile quanto resistente, che attraversa tutta la pratica artistica di Maurizio Cattelan: l’arte come sparizione, come gesto che crea presenza attraverso l’assenza. Con Fear of Painting, il suo nuovo progetto espositivo prodotto da Gagosian, Cattelan spinge questa tensione al limite. La mostra – ospitata per una sola notte (il 9 luglio scorso) all’interno di Villa Malaparte, a Capri, un luogo già di suo inaccessibile, in quanto non aperto al pubblico – non si vede, ma si poteva raggiungere via mare, esclusivamente su invito. Non c’erano orari né biglietti: solo coordinate segrete e un attraversamento. Il titolo, Fear of Painting, è già esso stesso una dichiarazione di poetica, una fuga che è un ritiro vero e proprio dallo spazio del quadro, dalla superficie del visibile, e forse dalla pittura stessa come forma di esposizione.
Cattelan – nato a Padova nel 1960 – è noto al grande pubblico per le sue provocazioni mediatiche – dalla banana col nastro adesivo venduta ad oltre sei milioni di euro al Papa colpito da una meteorite, dal cavallo appeso al soffitto del Castello di Rivoli a Hitler in ginocchio – ha sempre rifiutato le convenzioni, anche e soprattutto quelle del proprio ruolo. (Ir)riconoscibile, schivo, quasi mai presente ai vernissage (se non agli eventi dei suoi amici più cari) o nei cataloghi, è uno degli artisti contemporanei più noti – eppure resta, ostinatamente, inafferrabile. La sua è una presenza quasi fantomatica che preferisce parlare attraverso le opere, una forma radicale e autentica di coerenza.
l’artista italiano Maurizio Cattelan posa accanto alla sua opera “La Nona Ora” (1999) prima dell’inaugurazione della mostra “Not Afraid of Love” all’Hotel de la Monnaie il 17 ottobre 2016 a Parigi, Francia
Nel cuore di questa mostra invisibile, c’è una nuova serie di sculture in marmo che confermano la sua volontà di confrontarsi con il linguaggio della tradizione, ma sempre con la sua consueta ironia corrosiva. Ogni pezzo è una dichiarazione silenziosa contro il conforto dell’arte compiacente, delle opere silenziose e dure, scolpite con una freddezza chirurgica. Figure umane congelate nell’ambiguità del gesto, frammenti anatomici cesellati con precisione quasi maniacale, soggetti che evocano il trauma, la perdita, la devozione e la violenza. Il marmo – materiale che richiama la tradizione classica per eccellenza – viene usato dall’artista per indagare le contraddizioni più oscure della nostra cultura: religione e potere, corpo e colpa, estetica e morte. Fear of Painting è una provocazione sottile, il rifiuto del quadro, della superficie, del gesto artistico più tradizionale, ma – si badi bene – qui non è solo il contenuto a colpire, ma la struttura stessa dell’evento: una mostra pensata per non essere vista, o per essere vista solo da chi è disposto a compiere un gesto, fisico e simbolico, di separazione. L’accesso via barca è parte integrante dell’opera: un atto di isolamento, di transito, quasi un pellegrinaggio in acque incerte. È un dispositivo curatoriale, certo, ma anche un gesto performativo e l’arte, se fata così, è una distanza che crea il desiderio.