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Alle elezioni di domenica in Bolivia, con ogni probabilità, il partito di sinistra Movimiento al Socialismo (Mas) perderà per la prima volta dal 2006. Il Mas ha perso consensi per via della pessima situazione economica, ma soprattutto per lo scontro tra il presidente attuale, Luis Arce, e lo storico ex presidente Evo Morales, che non hai mai rinunciato all’obiettivo di tornare al potere nonostante abbia superato il limite dei mandati (ne ha fatti tre, tra il 2006 e il 2019).
Il risultato è che alle elezioni presidenziali di domenica, che coincidono con le parlamentari, la sinistra è frammentata. Si è divisa tra più candidati, tutti deboli, e questo ha favorito gli avversari di destra e di centro, che per la prima volta in vent’anni hanno possibilità concrete di vittoria. Nei sondaggi nessuno dei 9 candidati supera la maggioranza assoluta e quindi, per la prima volta nella storia boliviana, potrebbe servire un ballottaggio, a ottobre.
Il Mas si è diviso tra le fazioni ancora fedeli all’ex leader Morales e quelle che si riconoscono in Luis Arce, che era stato un ministro di Morales prima di scontrarsi con lui. La rivalità tra i due va avanti da tempo: è iniziata quando nel 2020, sotto il governo di Arce, Morales tornò dall’esilio e fu chiaro che entrambi ambivano a guidare il partito. Questa contrapposizione era sfociata in una lotta interna e nell’uscita di Morales dal Mas, lo scorso febbraio.
Evo Morales durante un evento dell’Unione delle Nazioni Sudamericane dei Popoli (Runasur), il 3 agosto a Ivirgarzama, in Bolivia (EPA/Jorge Abrego)
La situazione della sinistra attualmente è questa:
• Morales ha provato a ricandidarsi, ma il Tribunale elettorale glielo ha impedito, dopo che la Corte costituzionale aveva stabilito che non poteva ripresentarsi. In risposta Morales ha invitato i suoi sostenitori – che sono ancora numerosi, soprattutto nella zona centrale del paese – a invalidare la scheda (lo slogan è voto nulo, “voto nullo”).
• Il Mas si è praticamente sfaldato. Luis Arce, che ne è rimasto alla guida, ha deciso di non ricandidarsi dopo che i sondaggi gli davano appena il due per cento. Ha candidato quindi l’ex ministro Eduardo del Castillo, a cui vengono attribuite percentuali simili. L’impopolarità di Arce del Castillo e del Mas è dovuta alla grave crisi economica: l’inflazione è salita al 17 per cento dopo essere stata per anni una delle più basse dell’America Latina. Dal 2023 il governo ha esaurito le riserve di valuta estera ed è costretto a vendere le riserve d’oro, in parte per importare carburante che vende a prezzo calmierato e di cui ci sono periodiche carenze.
• C’è un altro candidato di sinistra di un certo rilievo: il presidente del Senato, Andrónico Rodríguez, che comunque è in netto svantaggio rispetto a quelli di destra e di centro (nei sondaggi non supera il 10 per cento). Rodríguez si è candidato con il partito Alianza Popular. Benché sia stato a lungo considerato una specie di erede di Morales, perché proviene dal suo stesso sindacato dei cocaleros (in Bolivia coltivare la coca non è illegale), l’ex presidente gli ha dato del traditore.
Andrónico Rodríguez, secondo da destra, con la sua candidata vicepresidente Mariana Prado, durante un evento a La Paz, lo scorso maggio (Diego Rosales/ZUMA Press Wire/ZUMA Wire)
Così molti elettori hanno considerato più credibili i candidati dell’opposizione: Jorge Quiroga, di destra, e il centrista Samuel Doria Medina. Entrambi si sono candidati alla presidenza già tre volte in passato e sperano che questa sia la volta buona. Nei sondaggi sono appaiati al primo posto, attorno al 24 per cento delle intenzioni di voto.
Doria Medina fu brevemente ministro negli anni Novanta: è noto per essere stato per quasi trent’anni presidente della più grande azienda produttrice di cemento della Bolivia (Soboce) e perché è proprietario del franchise boliviano del fast food Burger King. Si era candidato nel 2005, nel 2009 e nel 2014. Un altro candidato centrista è Rodrigo Paz, terzo nei sondaggi appena sopra Rodríguez: i suoi voti potrebbero essere fondamentali al ballottaggio.
Samuel Doria Medina, al centro, durante un comizio a La Paz, il 12 agosto (AP Photo/Juan Karita)
Quiroga fu vice presidente della Bolivia tra il 1997 e il 2001, e fino al 2002 fu brevemente presidente ad interim dopo le dimissioni per motivi di salute del presidente Hugo Bánzer Suárez. Quiroga si era candidato nel 2005 e nel 2014, nel 2020 invece si era ritirato una settimana prima delle elezioni.
Jorge “Tuto” Quiroga durante la visita a un mercato di La Paz, il 7 agosto (AP Photo/Juan Karita)
Sia Doria Medina sia Quiroga propongono politiche di austerità economica, tra cui la cancellazione dei sussidi per il carburante, la vendita delle aziende pubbliche e una serie di accordi con aziende straniere per sfruttare le riserve di litio. La vittoria di uno dei due potrebbe determinare un riavvicinamento agli Stati Uniti della Bolivia, dopo anni in cui è stata vicina diplomaticamente a Russia e Cina.
Agenti della polizia militare boliviana, in una foto dello scorso giugno (AP Photo/Juan Karita)
C’è infine il rischio che i sostenitori di Morales, che da mesi organizzano blocchi stradali e proteste anche violente, contestino il risultato delle elezioni e causino disordini. Il governo ha aumentato il dispiegamento di polizia. Il centro studi Armed Conflict Location & Event Data ha stimato che durante la campagna elettorale ci siano stati almeno 42 incidenti violenti, che hanno causato la morte di 8 persone; nel 2020 gli incidenti furono in tutto 26.
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