Non tutti i film nascono per intrattenere o tenere lo spettatore incollato alla poltrona. Alcune opere sembrano sfidare direttamente la pazienza e la concezione stessa di cosa significhi “guardare un film”. È il caso di Sleep di Andy Warhol, un titolo che dal 1963 divide cinefili e curiosi e che in molti hanno definito «il più noioso della storia». Un’etichetta che, paradossalmente, ha contribuito a costruire la sua leggenda nel tempo, trasformandolo da provocazione underground a oggetto di culto per cinefili e storici dell’arte.

Girato in 16 mm e privo di sonoro, Sleep è un film della durata di 5 ore e 21 minuti, proiettato per la prima volta nel 1964 al Gramercy Arts Theatre di New York. L’opera mostra nient’altro che l’artista e poeta John Giorno, compagno di Warhol, che dorme. Non si tratta però di un unico piano sequenza: Warhol alterna riprese di diverse lunghezze, loop di pellicola e immagini invertite, creando un flusso apparentemente monotono ma frutto di un montaggio attentamente costruito. L’intento dichiarato era quello di rompere con le regole tradizionali della narrazione cinematografica, trasformando l’atto banale del sonno in un’esperienza estetica e concettuale estrema.

La critica dell’epoca reagì con smarrimento. Jonas Mekas, voce autorevole dell’avanguardia newyorkese, lo descrisse come «un test di pazienza» e una sorta di «scherzo zen» rivolto agli spettatori. Oggi, invece, il film viene studiato come un’opera fondante del cinema d’avanguardia americano, simbolo di un approccio radicale che rifiutava ogni compromesso con il linguaggio mainstream. Nonostante questo riconoscimento tardivo, Sleep rimane un titolo che mette a dura prova chiunque cerchi di affrontarlo per intero.

Sul versante del pubblico contemporaneo, le reazioni non sono meno estreme. Su IMDb un utente racconta: «Questo film è terrificante e disgustoso. Non per ciò che mostra, ma per ciò che ti fa provare. La noia stessa diventa un’emozione». Su Letterboxd, invece, c’è chi ironizza: «Quindi, è così che passo le mie domeniche ora: guardando qualcun altro fare qualcosa di cui io stesso non ho mai abbastanza… per più di cinque ore…», un commento che racchiude bene l’esperienza di chi sceglie volontariamente di affrontare questa sfida cinematografica. Altri lo esaltano come esperimento unico: «Guardare Sleep è come meditare. Più a lungo va avanti, più smetti di aspettarti che accada qualcosa e semplicemente lo accetti».

Sleep continua così a incarnare una delle esperienze più radicali della storia del cinema. Non ha la pretesa di piacere, né di intrattenere: esiste come esperimento, provocazione e riflessione sul tempo e sulla percezione. Ed è forse proprio per questo che, a distanza di sessant’anni, rimane impossibile da ignorare.

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