Il finale del film “Quel che resta del giorno” di James Ivory mantiene intatto lo spirito del romanzo di Kazuo Ishiguro, ma lo esprime con una potenza visiva e interpretativa che lo rende particolarmente struggente. Dopo il viaggio per incontrare Miss Kenton (Emma Thompson), Stevens (Anthony Hopkins) comprende definitivamente che il loro rapporto non avrà mai lo sbocco affettivo che, per un istante, aveva sperato. Miss Kenton ammette di aver provato sentimenti profondi per lui e di aver talvolta immaginato una vita insieme, ma ormai vive da anni con il marito e, pur non essendo del tutto felice, considera la sua strada tracciata: la figlia che sta per avere un bambino e la famiglia che ha costruito le danno un senso di appartenenza a cui non intende rinunciare.

La scena della loro separazione è sobria e devastante. Sullo sfondo della costa battuta dal vento, con il mare grigio a fare da cornice, Stevens la saluta mantenendo quella compostezza che lo ha sempre contraddistinto. Nessun gesto impulsivo, nessuna confessione tardiva: il maggiordomo resta intrappolato nel proprio ruolo, incapace di oltrepassare la barriera emotiva che ha costruito per tutta la vita. Hopkins trasmette con minimi movimenti del volto un dolore profondo, un rimpianto che si intuisce enorme ma che non trova parole.

Anthony Hopkins

Il film chiude il cerchio con un’altra scena, apparentemente marginale ma decisiva, ambientata nel salone di Darlington Hall, ora di proprietà di un ricco americano. Mentre un uccello rimane intrappolato nella sala, il nuovo padrone e Stevens si adoperano per liberarlo. Quando la finestra si apre e l’animale vola via, il gesto diventa simbolico: un richiamo alla libertà che Stevens non si è mai concesso. L’uccello può uscire, ma lui resta, legato alla casa e al ruolo che ha definito tutta la sua esistenza.

L’ultima inquadratura lo mostra con lo sguardo rivolto verso l’alto, verso il soffitto, mentre accetta con cortesia un’osservazione del suo nuovo datore di lavoro. È un momento di apparente normalità, ma sotto quella calma si cela la piena consapevolezza di ciò che ha perso. Stevens non urla, non si abbandona a lacrime: sceglie di tornare al lavoro, di concentrarsi sull’idea di “migliorare il servizio” come unico obiettivo tangibile che gli resta. La tragedia è tutta nella sua silenziosa accettazione.

Emma Thompson 

Il finale cinematografico, così, diventa una meditazione visiva sul rimpianto e sull’irrevocabilità delle scelte. Dove altri film avrebbero concesso un colpo di scena o un abbraccio liberatorio, Ivory preferisce lasciare Stevens esattamente dove lo ha trovato: un uomo che ha speso la vita servendo gli altri, sacrificando la propria possibilità di amare, e che ora, pur vedendo chiaramente l’errore, non sa — o non vuole — cambiare. In quell’ultimo sguardo, privo di speranza ma colmo di consapevolezza, si racchiude la vera essenza di “quel che resta” della sua vita.ù