Il 23 agosto la partenza da Torino della corsa spagnola. Il corridore della Lidl-Trek: “Punto a tappe e alla maglia degli scalatori. Col mio stile”


Ciro Scognamiglio

Giornalista

19 agosto – 09:00 – MILANO

Scatenato in salita, capace di azioni esaltanti, vincente. Questo è Giulio Ciccone quando è al massimo, e quando gli inciampi del destino si decidono a dargli tregua. L’ultimo è stato l’incidente al Giro (24 maggio, tappa di Gorizia) che lo ha costretto al ritiro e a uno stop che si è però concluso nel migliore dei modi: rientro con successo a San Sebastian, e centro di tappa anche alla Vuelta a Burgos. Ora, da sabato, lo aspetta la Vuelta che comincia da Torino (Reggia di Venaria): l’abruzzese della Lidl-Trek ci arriva con la voglia di mettere in scena la “sua” idea di ciclismo. 

Ciccone, che cosa le ha detto il mese di agosto? 

“Che sono tornato al mio livello, quello che da un po’ di tempo ho raggiunto. L’intoppo del Giro non mi ha condizionato e sono ripartito”. 

Mentalmente, è più solido rispetto al passato? 

“Sì, credo di sì. Ma se il fisico è pronto, e l’incidente è superato, con il lavoro il livello si ritrova. È stato abbastanza naturale, non complicato”. 

Imprevisti a parte, il Ciccone un po’ discontinuo del passato non esiste più. Giusto? 

“Ho trovato la mia dimensione. Se non succedono cose strane, cadute, malattie… Ci sono, negli appuntamenti che mi si addicono. Poi, bisogna essere realisti: Tadej Pogacar è fuori-categoria e a lui non posso neanche paragonarmi. Jonas Vingegaard è un po’ al di sotto, ma resta pure lui un fuori-categoria, per me. Poi, c’è un gruppetto di corridori di livello alto, 7-8 atleti… nel quale mi metto pure io. Me la posso giocare sempre”. 

Pensa di avere un conto aperto con la fortuna? Un credito da riscuotere? 

“Prima, ci credevo un po’ di più in questo discorso, e negli anni di sfortuna ne ho avuta tanta. Ma ora è diverso. Mi faccio condizionare di meno dagli episodi negativi, perché non li posso controllare. Conosco il mio valore e in fondo, pure nelle annate difficili, lo spazio l’ho sempre trovato”. 

San Sebastian le ha dato qualcosa in più? 

“Mi mancava una classica così nel palmares, sì. Ma a livello mentale non mi ha cambiato. Ero andato lì per vincere, non è stata una sorpresa”. 

Alla Vuelta che obiettivi avrà? 

“I successi di tappa, e la maglia di miglior scalatore dopo quella di Giro e Tour. Curare la classifica… Mi piacerebbe tanto, sarebbe una occasione senza Pogacar lottare per il podio, ma tra una cosa e l’altra non ci sono mai riuscito. E a volte, punti in alto, insegui un qualcosa che però non arriva mai… Meglio andare su ciò che mi si addice di più. E poi…”. 

“Il feeling più bello è vincere. Alzare le braccia è una sensazione diecimila volte più forte rispetto a quella di fare classifica. Non voglio denigrare una classifica generale, ma se devo scegliere se fare quarto alla Vuelta, oppure una tappa e salire sul podio a Madrid con la maglia a pois… Non ho dubbi”. 

Istinto, voglia di dare spettacolo? 

“Esatto. Forse vado un po’ controcorrente, perché ora si guarda il dettaglio, pure il tifoso analizza qualsiasi cosa, comandano i punti per il ranking. Invece io dico che il valore di un successo non ha paragoni. Io non sono uno che vince tanto, ma quando succede fa rumore, in senso positivo. A me piace sentire tutto questo. E anche poter aiutare i compagni, come ho fatto con Pedersen al Giro”. 

Per il “suo” gesto del lancio degli occhiali, dopo una vittoria, era stato sanzionato dall’Uci. A Burgos abbiamo visto quello con indice e pollice, che condivide con Sinner e Giovinazzi. Lo ripeterà? 

“Improvviserò. A Burgos ho avuto un po’ più di tempo per ragionare. Per gli occhiali mi dispiace, alla gente piaceva, sono tutti delusi. Chissà, se alla Vuelta venisse un successo dei miei, esaltante, magari potrei correre il rischio di pagare la multa…”. 

Sappiamo che preferisce non parlare troppo di quest’amicizia. Possiamo dire però che funge anche d’ispirazione per ciò che fa? 

“Siamo tre sportivi. Parlare con degli amici che possano capirti aiuta. E dà motivazione: Jannik è una fonte di ispirazione, vedi la rimonta nella finale di Wimbledon. Qualsiasi sportivo la vede e gli dà un valore: se la fa un amico e ne parli, ha ancora più valore. Quanto a Giovinazzi, ama la bici e fa il pilota, cioè il mio sogno da piccolo… C’è una bella sensazione di fratellanza. Ci siamo sempre l’uno per l’altro, soprattutto nei momenti difficili”.