di
Lorenzo Cremonesi

Lo scrittore ucraino Kurkov: sulle eventuali cessioni di territori forse a Zelensky servirà un referendum

KIEV – «La partecipazione europea ai colloqui tra Trump e Zelensky a Washington rappresenta l’ennesima sconfitta russa dall’inizio della guerra. Putin voleva russificare l’Ucraina: con l’invasione del 2022 intendeva assorbire il nostro Paese nel Russkymir e invece si ritrova che noi siamo diventati molto più europei di prima», dice per telefono Andrei Kurkov. Il celebre scrittore ucraino sta partecipando al Festival della letteratura di Edimburgo per presentare due suoi libri: un romanzo ambientato nel periodo della rivoluzione bolscevica e una cronaca degli ultimi giorni di guerra.

Un’Ucraina sempre più nella Ue, nonostante Putin?
«A causa dell’aggressione russa almeno 6 milioni di nuovi profughi ucraini si sono spostati in Europa. Oltre mezzo milione di bambini ucraini imparano le vostre lingue, frequentano le vostre scuole. Comprendiamo sempre meglio le nostre mentalità reciproche, instauriamo relazioni professionali, siamo fratelli come mai era avvenuto prima. I traffici sono sempre più intensi: due giorni fa ho dovuto andare da Kiev alla Polonia in auto perché i treni erano tutti pieni».



















































E il coordinamento politico della Ue con Zelensky per affrontare assieme Trump e poi Putin?
«È un fatto importante. Sino alla rivoluzione di Maidan nel 2014 la Ue era stata molto cauta con Kiev. A Bruxelles non piacevano la corruzione, gli oligarchi, il sistema economico poco trasparente. Ma oggi la Ue ci ha adottati in toto, siamo come un figlio che deve crescere».

Eppure, ci sono anche forti limiti: l’Europa è divisa, lenta, non coordina gli sforzi militari, non ha una politica estera comune. Può sostituirsi alla potenza militare americana per difendere l’Ucraina?
«Gli ultimi sviluppi della guerra e le nuove politiche adottate da Trump inducono molti europei a pensare che la Nato non sia più una protezione assoluta. Intanto l’Ucraina che si difende dall’aggressione russa è diventata uno dei Paesi più militarizzati al mondo, il nostro esercito rappresenta ormai un modello da studiare e seguire per tanti comandi occidentali. I vostri militari stanno imparando dai nostri. Vedo che i nostri generali sono trattati da quelli europei con molto più rispetto che nel passato. L’Ucraina è diventata una terra di frontiera tra Asia, Russia e Europa occidentale». 

Conseguenze?
«La concretezza della guerra sovrasta sulle mentalità confuse e molto teoriche predominanti nei comandi europei. Voglio dire che l’urgenza di difendere i confini delle democrazie spinge inevitabilmente i leader europei a sostenere la nostra causa di libertà. Cresce il bisogno di produrre nuove armi, munizioni, droni, apparecchi per la guerra tecnologica che ci liberino dalla dipendenza dalle armi Usa e dalle scelte del Pentagono».

Come legge il summit Trump-Putin in Alaska?
«Non è andato come voleva Trump. Non c’è stata la conferenza stampa finale e neppure il pranzo. Ma tutto il mondo ha visto il tappeto rosso per Putin, nulla di simile è stato fatto nel recente passato per i leader della Ue o per Zelensky. Ma adesso Trump non sa cosa fare, gli piace Putin che controlla il sistema come lui non può fare, gli piace un altro dittatore come Lukashenko. Alla fine comunque non c’è stato alcun risultato, ecco perché adesso ha bisogno degli europei con Zelensky».

Come legge la proposta della premier Meloni di applicare garanzie di sicurezza all’Ucraina in tono con l’articolo 5 della Nato, ma senza farla ufficialmente entrare nell’Organizzazione atlantica?
«È una proposta confusa, ambigua, che non ha alcun senso politico o militare. Non si possono dare affidabili garanzie di difesa a un Paese che non è della Nato. Meglio piuttosto avere truppe europee a difesa dei confini ucraini. Francesi, inglesi e tedeschi ci stanno già pensando. Mi sembra la cosa più chiara e praticabile. Una presenza di soldati europei fissa per 5-10 anni, sino a che i successori di Putin e Zelensky non firmeranno un accordo finale».

E l’idea di cedere il Donbass per la pace?
«Zelensky potrebbe indire un referendum: la resa del territorio in cambio del blocco della guerra. Non credo che possa fare alcun passo del genere senza il pieno consenso popolare. Ma il risultato potrebbe vedere un Paese lacerato, una metà d’accordo con il compromesso territoriale e l’altra contraria».

Come mai?
«Nessuno si fida di Putin. Non gli crediamo. Alla prima occasione tornerà ad attaccarci, lo ha già fatto in passato e lo rifarà. È scritto sui muri».

17 agosto 2025