Un uomo di 73 anni vive auto-murato nella propria cella, ricoperta in ogni centimetro – compresa la finestra e l’esterno della porta blindata – da carta stagnola sigillata con la colla. Succede al carcere Lorusso e Cutugno di Torino, nel braccio C della sezione 6: il detenuto, di nome Nicola e originario della Calabria, condannato per reati sessuali, rifiuta di uscire dal suo loculo da tre anni, da quando è stato sottoposto a Tso (trattamento sanitario obbligatorio) a causa di una crisi psichiatrica. A denunciare pubblicamente il caso è stato il segretario dei Radicali italiani, Filippo Blengino, dopo una visita al penitenziario delle Vallette insieme a una delegazione di politici che comprendeva anche esponenti di +Europa e Azione. “Una condizione indegna, disumana e degradante, così come è disumano e degradante che lo Stato lo abbia abbandonato a questa sorte. Una situazione che finisce per rendere indegno anche il lavoro della Polizia penitenziaria e degli altri detenuti, costretti a convivere con una situazione intollerabile. Noi crediamo nello Stato di diritto e per questo chiediamo che chi ha responsabilità istituzionali intervenga immediatamente per porre fine a una condizione che, in anni di visite nelle carceri italiane, non avevamo mai visto“, afferma Blengino, informando di aver scritto per segnalare la situazione al ministro della Giustizia Carlo Nordio, al capo del Dipartimento carceri del ministero (Dap) Stefano De Michele e al Garante dei detenuti di Torino.

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Il segretario dei Radicali sottolinea che l’”evidente stato psichiatrico” dell’uomo è “del tutto incompatibile con la detenzione“. Gli operatori del carcere confermano all’Ansa che il detenuto soffre di una serie di fobie, tra cui quella per la polvere, e manifesta sintomi riconducibili a un disturbo ossessivo-compulsivo: in un’occasione, raccontano, ha lavato dei pomodori con del detersivo per abiti, non fidandosi dello stato in cui gli erano stati consegnati. Dalla sua cella, denuncia Blengino “proviene un odore nauseabondo“: Nicola infatti non ha accesso alla doccia, e l’aria e la luce entrano solo attraverso un piccolo spiraglio della porta blindata, lasciato aperto per permettergli di uscire in corridoio (possibilità di cui non approfitta mai). “Conosciamo la situazione di questo detenuto, ma quella di non uscire dalla cella e di sigillare tutto con la carta stagnola è una scelta sua”, ha detto alla Stampa Monica Gallo, Garante dei detenuti uscente del Comune di Torino (il suo mandato è scaduto il 31 luglio). “Questo suo isolamento”, ha spiegato, “è dovuto ad un’ossessione per i contagi portati da microbi e virus”. Gallo fa sapere di aver “già segnalato la situazione e sia al garante nazionale che alla direzione del carcere chiedendo di spostare” il recluso “in un altro penitenziario, per capire se poteva comportarsi in maniera differente, ma non è successo nulla”, afferma.

Il segretario di +Europa Riccardo Magi ha annunciato un’interrogazione a Nordio: “Un uomo murato vivo non è un problema del carcere: è uno scandalo per la Repubblica. Per questo abbiamo deciso di portare il caso direttamente in Parlamento”, dichiara. Nella bozza dell’atto, che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere, Magi sottolinea che la vicenda di Torino “getta una luce sull’intera modalità di gestione delle persone affette da situazioni di vulnerabilità psichiatrica che si trovano al momento attuale in condizione di limitazione della libertà personale”, mostrando come “gli istituti di pena siano mutati progressivamente da strutture volte alla rieducazione e l’inserimento sociale dei detenuti a vere e proprie discariche sociali“. Le condizioni in cui vive il 73enne “palesano una nuova ennesima violazione del dettato costituzionale in materia di rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo, di umanità della pena nonché la finalità rieducativa di essa”, denuncia il deputato, chiedendo al ministro “se sia a conoscenza della situazione sopra descritta, quali misure immediate intenda adottare per tutelare la salute e la dignità umana del detenuto” e “se non reputi necessario provvedere ad avviare con urgenza gli accertamenti ispettivi del caso”, nonché “predisporre interventi complessivi volti ad affrontare il tema dei detenuti affetti da disturbi psichiatrici, al fine anche di garantire soluzioni alternative alla detenzione”.