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Il ministro Schillaci ha azzerato le nomine della commissione del governo sui vaccini dopo le proteste della comunità scientifica. Il gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni ha una funzione cruciale: offrire raccomandazioni basate su evidenze scientifiche, assumendo un ruolo tecnico, indipendente e autorevole nelle scelte vaccinali.
La polemica sulle nomine contestate
L’inclusione di due membri con posizioni critiche verso i vaccini, Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite, ha provocato forti reazioni da parte della comunità scientifica, della politica e dell’opinione pubblica.
Il Nitag non è un talk show né un’arena dove tutte le opinioni si equivalgono. È un organo tecnico: serve a valutare i dati scientifici e a formulare raccomandazioni vaccinali che guidano le politiche sanitarie di un intero Paese. Non è uno spazio di confronto politico, né un luogo dove cercare il compromesso tra visioni contrapposte. Inserire in quel contesto persone note per posizioni critiche o ambigue nei confronti delle vaccinazioni non significa garantire pluralismo, ma svilire la missione stessa del comitato. La reazione alla composizione del Nitag è stata rapida e compatta. In pochi giorni oltre 35mila firme hanno chiesto di ritirare quelle nomine, sostenute da figure di primissimo piano come il Nobel Giorgio Parisi. La Federazione degli Ordini dei Medici, la Società Italiana di Igiene, il Patto Trasversale per la Scienza hanno alzato la voce. Non per difendere una “verità di Stato”, ma per ribadire che un organo tecnico non può essere indebolito inserendo al suo interno chi contesta proprio i presupposti scientifici su cui quell’organo si fonda. A rendere ancora più grave la situazione è stata la presa di posizione di Francesca Russo, membro del Nitag e responsabile della prevenzione per la Regione Veneto. Russo ha rassegnato le proprie dimissioni dal comitato, spiegando in una lettera al Ministero della Salute che i due nuovi membri “hanno ripetutamente espresso posizioni pubbliche incoerenti con le evidenze scientifiche sulle vaccinazioni, arrivando in alcuni casi persino a sostenere o diffondere messaggi contrari alle strategie vaccinali nazionali”.
Meloni parla di “mancato pluralismo”
Pluralismo non vuol dire mettere sullo stesso piano chi basa le proprie posizioni su decenni di studi clinici e chi si affida a convinzioni personali o a teorie smentite. Nessuno chiederebbe di inserire in un comitato sull’edilizia antisismica un sostenitore dell’idea che i terremoti non esistono, o in un board sull’oncologia chi nega il legame tra fumo e tumori. Eppure, quando si parla di vaccini ed omeopatia questo principio sembra vacillare, come se tutto fosse opinabile. No, non lo è.
La vicenda non è rimasta confinata entro i confini nazionali. Anche il British Medical Journal – una delle riviste scientifiche più autorevoli al mondo – ha dedicato un articolo al caso, sottolineando l’anomalia di includere figure note per posizioni antivaccinali in un organismo tecnico di quel livello. Di fronte a questa pressione, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha scelto la via più netta: sciogliere l’intero Nitag. Un azzeramento che non lascia spazio a interpretazioni. Una decisione necessaria anche se la premier Giorgia Meloni ha parlato di “mancato pluralismo”. Ma qui non si trattava di limitare il dibattito democratico: si trattava di evitare che la confusione e la disinformazione entrassero in un organo tecnico la cui funzione è basata unicamente sulle prove scientifiche. Per questo parlare di “pluralismo” è fuorviante. La democrazia ha bisogno di pluralismo politico, culturale, sociale ma la scienza non funziona così: non procede per opinioni, procede per prove. Un comitato scientifico deve rappresentare competenze diverse, non opinioni contrapposte. Deve discutere di dati, non di ideologie. Mischiare questi piani significa minare la credibilità delle istituzioni sanitarie e disorientare i cittadini.
Una decisione necessaria
La decisione del Ministro Schillaci di azzerare il gruppo è stata drastica, ma necessaria. Ha significato rimettere al centro la serietà, il rigore e la competenza. Questo episodio segna anche una vittoria della scienza. Non tanto perché la politica si sia piegata al volere degli scienziati, ma perché ha riconosciuto che ci sono campi nei quali il metodo scientifico non può essere relativizzato. Se oggi il ministro ha avuto il coraggio di fare un passo così netto, è anche grazie a una mobilitazione civica e scientifica che ha mostrato quanto sia alta, nel Paese, la domanda di rigore. Questa volta ha vinto il buon senso e non per arroganza ma perché senza metodo scientifico che produce evidenze solide non esisterebbe tutela della salute o sicurezza per la collettività. Quello che, personalmente mi auguro è che la stessa compattezza e determinazione della comunità scientifica si manifesti anche su altri grandi temi, dalle emergenze climatiche alle nuove sfide sanitarie come, ad esempio, le antibioticoresistenze.