di
Paolo Valentino
Alla Casa Bianca Zelensky ha detto «thank you» 11 volte in 4 minuti. Ma il presidente ucraino non è l’unico a usare la carta della lusinga con Trump
Il record lo ha stabilito il povero Volodymyr Zelensky. Memore dell’umiliazione subita in febbraio, quando il vicepresidente JD Vance lo fulminò in diretta mondiale dicendogli: «Ha detto una sola volta grazie?», il leader ucraino questa volta non si è risparmiato. E quando è toccato a lui parlare davanti a Donald Trump, gli ha detto «thank you» ben 11 volte in soli 4 minuti e mezzo, ringraziandolo per tutto, mancava solo l’aria che stava respirando. Ma Zelensky, nella sua battaglia esistenziale per salvare quel che resta dell’Ucraina, qualche giustificazione ce l’ha. Un po’ meno ne hanno i sette samurai venuti a difenderlo come nel film di Kurosawa.
Rutte e «paparino» Donald
È stata una vera e propria laudatio, quella dei leader europei all’indirizzo del presidente americano. Un coro con due tenori, ormai specialisti della disciplina: uno è l’imbarazzante segretario generale della Nato, Mark Rutte — già distintosi nel recente vertice atlantico dell’Aia quando lo chiamò «daddy», paparino — il quale ha elogiato la «grande leadership» del «caro Donald», quasi fosse Kim Il-Sung. L’altro è il presidente finlandese, Alexander Stubb, «new kid on the block» della piaggeria nei confronti di Trump. Il quale ha ricambiato: complimenti a Zelensky per il suo total black, «grande gentiluomo» a Rutte, «più di bell’aspetto che mai» a Stubb, «un amico» a Starmer, «mi piaci ancora di più» a Macron, «grande leader anche se molto giovane» a Meloni, «ottimo aspetto con quell’abbronzatura» a Merz e dulcis in fundo «la più potente di tutti» (sic) a von der Leyen, la donna che per mesi ha ignorato.
La lezione di Putin
Benvenuti nell’era della diplomazia dell’adulazione. «Flattery will take you everywhere», la lusinga vi porterà ovunque, ripeteva spesso l’attrice Mae West.
Con Donald Trump, narciso patologico, porta sicuramente lontano. Per lui le lodi sperticate sono elisir, ragion di vita, nutrimento indispensabile, la materia di cui è fatta la politica. Ormai lo sanno tutti e le usano come un’arma, in grado di piegarlo alle loro ragioni. Lo sa Vladimir Putin, che già gli aveva regalato l’avallo a una delle sue bugie più grandi, quella che le elezioni del 2020 fossero truccate a suo sfavore, e che ad Anchorage lo ha incensato ripetendo un’altra delle sue boutade: se ci fosse stato Trump, la guerra in Ucraina non sarebbe successa.
Netanyahu e il Nobel per la Pace
Sarà una coincidenza che gli ha concesso tutto, tranne la levata delle sanzioni, senza chiedere nulla in cambio? E lo sa il premier israeliano Benjamin Netanyahu, al quale Trump ha dato mano totalmente libera per il massacro di Gaza, che il mese scorso si è presentato nello Studio Ovale, con una lettera che conteneva la nomination al Premio Nobel per la Pace, per Trump l’unico Santo Graal che potrebbe metterlo su un piano di parità con la sua nemesi, Barack Obama. Tant’è. Qualche anno fa, l’ex direttore di Time Richard Stengel, intervistato nei giorni scorsi dal nostro Mario Platero, scrisse un delizioso libretto, pubblicato in Italia da Fazi: Manuale del leccaculo . Dal quale prendiamo questa citazione: «Se la verità è relativa, l’adulazione è solo un’altra maniera per manipolarla».
20 agosto 2025 ( modifica il 20 agosto 2025 | 09:31)
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