A-Team, La signora in giallo, i film di Bud Spencer e Terence Hill. Cos’hanno in comune? Un tizio grosso che mena e uno smilzo e scaltro che gli dà ai nervi? Un omone pacioso e una persona bionda che lo costringe all’azione? Dirk Benedict? Niente da fare: in un ipotetico diagramma di Venn, una delle tre cose rimane sempre fuori.
AH! Ecco, ci sono: la serialità! La serialità, Fabrizio!! La struttura episodica sempre identica a sé stessa ed eternamente replicabile. Quello, e il fatto che i protagonisti portano evidentemente sfiga. SIGLA!
Nel 2021, il primo Io sono nessuno lo abbiamo accolto come una benvenuta ventata di leggerezza e divertimento in un momento molto difficile, anche se obbiettivamente non era niente di troppo nuovo né originale, soprattutto se consideriamo – come mi ha fatto notare un amico prima della visione di questo sequel – che il genio di Derek Kolstad sta nell’essersi fatto produrre due volte lo stesso identico concept: tizio insospettabile e schivo/annoiato si scopre essere in realtà un super sicario in pensione, esperto in millemila arti marziali, ed è costretto a tornare in azione quando per caso fa incazzare la mafia russa. È evidente che John Wick e Nobody sono due film (molto?) diversi per tono e intenzioni, eppure chi negherebbe che, stringi stringi, la sinossi di base è la stessa? Nessuno (pun intended), nemmeno Derek Kolstad, che si è diretto in banca ridendosela sguaiatamente per la strada.
La più grossa differenza tra John Wick e Io sono nessuno è lampante: il primo ha costruito col tempo una mitologia complessa, ha una forte continuità tra un capitolo e l’altro, tanto che per capire la saga bisogna vedere ogni singolo film. Non è che uno possa andare al cinema distrattamente a vedere Ballerina, o meglio sì, può farlo, ma ne capirà solo una frazione. Se invece uno va al cinema a vedere Io sono nessuno 2, se lo potrà godere senza troppe cure, al netto degli immancabili riferimenti al primo film. Questo perché, appunto, le intenzioni qui sono diametralmente opposte rispetto a quelle di John Wick: non creare un universo interconnesso di personaggi e lore, ma replicare la formula della serialità verticale di un tempo, di stampo prettamente televisivo. C’è lo stesso protagonista, ci sono gli stessi comprimari, ma la missione è completamente nuova, anche se si svolge tutto secondo una griglia rigidissima composta da momenti topici che dovranno essere replicati alla perfezione ogni volta. E, anche qui, il protagonista porta sfiga.
National Kaboom’s Vacation
L’esempio di Jessica Fletcher è fin troppo facile e scontato, ma avrete certamente presenti uno o due episodi di serie TV celebri in cui i protagonisti se ne vanno in vacanza, al mare, in montagna o, grande classico, in crociera, e fatalità ricascano nella loro routine abituale – in genere indagare su un delitto pure lì. È quello che succede anche a Hutch Mansell: si rompe il cazzo di far fuori cristiani per ripagare il suo debito ai russi del primo film e decide che è arrivato il momento di andarsene in vacanza con tutta la famiglia. Ovviamente in un parco divertimenti che copre i traffici di un cartello della droga. Ovviamente scatterà l’incidente che farà incazzare i gangster. Ovviamente Hutch perderà le staffe e manderà all’aria i loro piani, aiutato da suo padre Christopher Lloyd e suo fratello RZA (ma non solo). E tutto si concluderà con una mega-sparatoria in un luogo scelto a tavolino dai buoni.
E lo so che nel vostro raggrinzito cuore calcista state già gridando “SPOILER!”, ma davvero non ha senso prendersela parlando di un film come questo, dove il punto è proprio la reiterazione di una ricetta precisa. Nessuno si incazzava quando, per l’ennesima volta, l’A-Team si ritrovava intrappolato in un magazzino. Io sono nessuno 2 fa propria questa lezione, aggiungendoci di suo un tocco meta inevitabile: negli anni ’80 della serialità verticale spinta, era accettato che una serie riproponesse all’infinito la stessa formula. Sempre negli anni ’80 dei sequel-fotocopia, era normale che il numero 2 non avesse l’ambizione del numero 1, ma si limitasse a riproporre le cose che avevano funzionato la prima volta. Nel 2025 dell’asticella continuamente alzata, quando un film decide di replicare pedissequamente una formula, è evidente che c’è un’intenzione creativa precisa dietro. Io sono nessuno 2 è una commedia action in cui la struttura stessa è una gag, una strizzata d’occhio al fan. Un modo per rassicurarti subito sul fatto che le intenzioni della saga, offrire intrattenimento leggero senza pensieri, botte e botti senza troppe conseguenze, non siano state tradite.
Non è un film di Derek Kolstad senza un #canetto
Non è un caso che entrambi i film inizino a cose fatte, con il protagonista tumefatto che viene interrogato da agenti federali senza nome: come a dire “Tranquilli, nessuno si farà del male a parte chi deve farsi del male per contratto”. Quando i cattivi minacciano la famiglia di Hutch mentre lui è da un’altra parte a menare le mani, non può esserci più di tanta suspense perché lo sai già che nessuno morirà, ma non è quello il punto: il punto è scoprire cosa si inventerà stavolta la famiglia Mansell per ribaltare le carte in tavola, godersi il momento in cui un comprimario farà una cosa matta che i cattivi, così sicuri di sé e forti dei loro numeri, non si aspettavano.
In un film come Io sono nessuno 2, così come in una puntata dell’A-Team, o in un film di Bud Spencer e Terence Hill, è dunque fondamentale azzeccare i cattivi e i loro scagnozzi, perché più stronzi e arroganti sono, più godremo quando i buoni li puniranno. E qui è dove il film di Timo Tjahjanto (ci torneremo su Timo) incespica un po’. Perché se, da un lato, Colin Hanks ce la mette tutta e crea una sua variante meta di Rosco P. Coltrane – è uno sceriffo corrotto ossessionato dal dimostrare il proprio valore a dei capi ingombranti che non credono in lui – dall’altro la Lendina di Sharon Stone è una boss finale troppo stereotipato per reggersi sulle sue gambe. È matta e spietata, ok, ma ne abbiamo visti un sacco di villain matti e spietati esattamente quanto lei, che oltretutto non viene nemmeno coinvolta nell’azione fino a un finale in cui viene fatta fuori un po’ troppo rapidamente e senza tante cerimonie.
Già sei figlio di Tom Hanks, in più ti chiamano COLIN…
L’altra cosa che non mi è molto piaciuta è che manca un po’ del contorno tipico di queste avventure famigliari alla National Lampoon’s Vacation. Quando i Mansell entrano per la prima volta nella sala giochi del parco, il giovine virgulto Brady si scorna subito con il figlio del boss locale che lo accusa di averci provato con la sua ragazza. Mi aspettavo che questo sfociasse in una side quest, o che per lo meno l’elemento Vacation fosse un po’ più presente, e invece il fatto che i Mansell siano in vacanza è ininfluente, a conti fatti, perché il film si concentra solo ed esclusivamente su Hutch. Credo sia una questione di target: nessuno alla Universal si aspetta che questo film lo veda gente più giovane di quarant’anni.
Quello che invece mi piace, e che qui è ancora più insistito, è l’assenza di spiegoni sul passato dei Mansell: perché Becca (Connie Nielsen) sa maneggiare un’arma? Cosa faceva prima di diventare la signora Mansell? Sappiamo che i due si sono conosciuti in Italia, ma a parte questo o alla Universal si stanno tenendo tutto per un prequel stile True Lies, oppure hanno capito che in fin dei conti non serve sapere nulla più di qualche dettaglio sparso, anzi è più divertente così.
We need to talk about Timo
Perché, alla fine, quello che conta è che le botte siano abbondanti, generose, ben coreografate e nitidamente fotografate. È la formula che ha reso la 87North di David Leitch e Kelly McCormick una garanzia nell’action moderno e Timo Tjahjanto, il nostro amico Timo, il Timo nazionale (di Val Verde), è il portabandiera perfetto di questo. Anche se, va detto, questo Io sono nessuno 2 punta più sul caos e l’accumulo che non sulla chiarezza del gesto atletico – Bob Odenkirk ha studiato e si impegna, ma ovviamente non è Joe Taslim o Iko Uwais –, ciò non toglie che nel film ci si meni tanto e bene dall’inizio alla, pur scontata, fine. Siamo contenti, Vincent?
Mattina su Italia 1 quote:
“Quando il termine sequel-fotocopia non è un dispregiativo, ma uno statement artistico.”
George Rohmer, i400Calci.com