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Dopo più di dieci anni come consigliera comunale a Flessinga, una città di 45mila abitanti nel sud ovest dei Paesi Bassi, la 51enne Lilian Janse aveva deciso di candidarsi alle elezioni parlamentari nederlandesi che si terranno a fine ottobre. Era stata incoraggiata dalla sezione locale del suo partito, il Partito Politico Riformato (SGP), anche perché nella sua regione è molto conosciuta e rispettata.

All’inizio di agosto però il comitato nazionale dell’SGP ha pubblicato la lista provvisoria delle 50 persone candidate scelte per le elezioni. Non solo il suo nome non c’era, ma nella lista c’erano solo candidati maschi.

L’SGP è un partito con posizioni profondamente conservatrici. Dalla sua fondazione, nel 1918, si è sempre rifiutato di candidare donne alle elezioni nazionali e fino a vent’anni fa non permetteva loro di iscriversi. Nelle ultime settimane il tentativo fallito di Janse di cambiare questa consuetudine è stato molto raccontato dai giornali nederlandesi, e ha riaperto una ciclica discussione su se sia legale o meno adottare questa linea dentro a un partito politico.

Il Partito Politico Riformato è il partito più longevo dei Paesi Bassi e oggi è rappresentato in parlamento da tre deputati e due senatori: alle ultime elezioni, nel 2023, prese circa il 2 per cento dei voti. Ha 30mila iscritti, quasi tutti provenienti dalla cosiddetta Bijbelgordel (la “cintura della Bibbia”, in nederlandese): è un’area storicamente abitata da comunità di protestanti calvinisti molto conservatori dal punto di vista dottrinale e dallo stile di vita estremamente tradizionale, di cui fa parte anche Lilian Janse.

L’SGP è contrario all’aborto, all’eutanasia, ai matrimoni fra persone dello stesso genere e all’obbligo delle vaccinazioni. È favorevole alla reintroduzione della pena di morte e alle terapie di conversione, una serie di pratiche pseudoscientifiche che sostengono di poter “curare” le persone non eterosessuali e transgender e che sono illegali in diversi paesi europei, ma non nei Paesi Bassi.

È inoltre da sempre contrario alla partecipazione delle donne alla vita politica: nel suo statuto il diritto di voto delle donne è descritto come un «desiderio rivoluzionario di emancipazione contrario alla loro vocazione». Nel 1993 il suo comitato nazionale negò ufficialmente alle donne la possibilità di aderire al partito e questo divieto rimase fino al 2006, dopo che una commissione delle Nazioni Unite stabilì che il veto era contrario a un trattato internazionale, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna. 

Il partito comunque continuò a impedire alle donne di candidarsi, anche perché nei Paesi Bassi non esiste una legge che obbliga i partiti a candidare sia donne che uomini.

Nel 2010 però la Corte Suprema nederlandese stabilì che la linea del partito fosse discriminatoria sulla base proprio della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, che i Paesi Bassi hanno firmato e che quindi devono rispettare. Secondo la sentenza, lo stato doveva assicurarsi che il partito non impedisse alle donne di candidarsi sulla base del loro genere. L’SGP fece ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), sostenendo che la decisione della Corte Suprema violasse la sua libertà di espressione, di religione e di riunione, ma il tribunale rigettò la richiesta.

Lilian Janse nel 2014 (P.J. (Nellie) van Dijk/Wikimedia Commons)

Nel 2013 il partito fu quindi costretto a permettere alle donne di candidarsi: una delle prime a farlo e a essere eletta alle elezioni municipali del 2014 fu proprio Lilian Janse, che prese 770 dei 942 voti per l’SGP. Da allora Janse affianca la sua attività di consigliera comunale al tentativo di aumentare la presenza delle donne all’interno del partito a livello nazionale, ed è diventata una dei suoi politici più noti.

Secondo Janse, che ha tre figli e un marito che sostiene la sua carriera politica, la contrarietà dell’SGP all’inclusione delle donne non riguarda tanto la religione, quanto la paura di perdere consensi: «È una questione di potere, una montagna troppo alta per alcuni uomini dell’SGP, che temono che i cambiamenti generino un conflitto e scaccino i loro elettori», ha detto Janse in una recente intervista.

Ancora oggi però le donne elette sono pochissime, e in questi dieci anni il partito non ha mai voluto candidare una donna alle elezioni nazionali, adducendo sempre motivi diversi da quello del genere, che non può più invocare esplicitamente.

All’inizio di agosto, dopo la presentazione della lista da cui Janse era stata esclusa, il partito ha detto che la commissione di selezione aveva tenuto conto di aspetti come la «distribuzione geografica, l’appartenenza confessionale e l’età». Interrogato da diversi giornali sulla questione, il portavoce dell’SGP Peter Smit aveva detto che «il genere non è stato un criterio per elaborare la lista per le elezioni generali», ammettendo però che internamente al partito esistesse un dibattito sul tema.

Lo scorso maggio, quando durante il congresso nazionale Janse e la sua sezione locale avevano proposto una modifica dello statuto per permettere ufficialmente alle donne di candidarsi, la mozione era stata respinta con 299 voti contrari e 53 a favore. Janse aveva comunque mantenuto la sua candidatura, dicendo anche di essere sostenuta da uno dei tre deputati attualmente eletti. Si è detta «frustrata» quando ha scoperto di non essere stata inclusa, anche perché il partito non le ha mai dato una spiegazione ufficiale. Ha però aggiunto che continuerà a provarci e che l’anno prossimo si ricandiderà alle elezioni comunali della sua città.