voto
7.5

  • Band:
    INNUMERABLE FORMS
  • Durata: 00:35:10
  • Disponibile dal: 22/08/2025
  • Etichetta:
  • Profound Lore

Streaming non ancora disponibile

A tre anni quasi esatti dal precedente “Philosophical Collapse”, gli Innumerable Forms tornano con “Pain Effulgence”, terzo full-length – ancora una volta prodotto da Arthur Rizk (Blood Incantation, Power Trip, Crypt Sermon) – che rafforza in maniera definitiva l’identità e la missione del progetto: omaggiare con rigore, intensità e sensibilità malinconica una ben precisa declinazione del death metal di primi anni Novanta, in particolare quello più greve e dolente. Ancora una volta, Justin DeTore e compagni – provenienti da realtà diverse e in qualche caso lontanissime dal death metal, come Boston Strangler, Sumerlands, Iron Lung, Power Trip o Mammoth Grinder – si raccolgono attorno a un’idea comune e ben circoscritta, lasciando fuori tutto il resto: non c’è crossover, non c’è modernità, non ci sono aperture verso l’esterno. C’è, invece, la fedeltà a un certo linguaggio e la capacità di riscriverlo con passione.

Quello dei Nostri, è un progetto che si concede solo in parte, fatto per un pubblico che conosce già la lingua e sa cogliere le sfumature dentro a una tavolozza che sembra grigia, ma in realtà possiede vari scarti cromatici.
Come al solito, “Pain Effulgence” non inventa nulla, né ci prova. Ma affina, scava, lima, rallenta (e parecchio) e poi colpisce. È un disco dove il riff serve, ma non comanda. Dove i pezzi scorrono come blocchi di materia scura, ma vengono scavati da melodie che non sono decorazioni, bensì ferite aperte. Di nuovo, la forza scardinatrice di certe ritmiche o il tono sferzante di episodi brevi come “Ressentiment” risultano ispirati alla vecchia scuola finnica di Abhorrence e Purtenance, ma le impalcature ornamentali, il mood della chitarra solista e tutto ciò che va a colorare la ruvida base arrivano quasi sempre dal periodo demo e debut album di Anathema e Paradise Lost.
A conti fatti, “Pain Effulgence” si pone sostanzialmente sullo stesso livello del precedente “Philosophical Collapse”: non c’è un vero passo avanti, né un calo, ma tutto sommato una coerente continuità che conferma la capacità degli Innumerable Forms di rimanere fedeli alla loro visione. Si percepisce un senso di urgenza sincera, una vibrazione sepolta sotto le distorsioni che sa parlare a chi riconosce certi codici senza bisogno di spiegazioni. Nulla suona costruito o compiaciuto: tutto è lì perché deve esserci, come un rituale già noto ma ancora necessario.
Brani come la title-track o “Austerity and Attrition” (l’album si chiude in effetti in crescendo) non si preoccupano magari di essere memorabili, ma lo diventano proprio per come si fanno attraversare da qualcosa che resta: un fraseggio storto, una pausa allungata, linee soliste amare, lente e avvolgenti, per un costante senso di afflizione che affiora tra le pieghe di ogni traccia. È lì che il disco mostra il suo vero volto: non quello del death metal che pesta, ma quello del dolore che cerca forma.

Gli Innumerable Forms suonano come se dovessero fissare un ricordo che sfugge, un suono che esisteva prima di loro e che loro si limitano a far rivivere, con rispetto e furore. “Pain Effulgence” non è un album aperto e non ci viene incontro, ma, una volta entrati nel suo groviglio di riff pesanti, melodie lacerate e un’atmosfera che sa di catacombe e pioggia, difficilmente si resta del tutto indifferenti. Per la terza volta, la band statunitense ci mette insomma davanti a un monolite incrinato, ma che vibra ancora.