Basta andarsi a riprendere uno dei suoi libri dove le genealogie sono messe più in chiaro, Le nozze coi fichi secchi, per esempio, per vedere la prima radice da chi e dove era stata piantata: Danilo Dolci va bene, ma poi Margherita Zoebeli e Ada Gobetti, Giorgio Agosti, Anna Maria Ortese, Carlo Levi, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte, Danilo Montaldi. Tutte figure da sempre escluse dalla storia dell’Italia repubblicana, letta come repubblica dei partiti, che pure hanno agito nella pratica, cambiando lo sguardo o le condizioni di vita di chi ha avuto la ventura di incontrarli. Questo non significa che presi singolarmente nei partiti non avessero militato, ma che dei partiti non avevano fatto il fine ultimo dell’agire politico: lo stesso Fofi, recentemente, mi ha raccontato di essere stato iscritto al PSI negli anni della sua inchiesta sui meridionali a Torino, e non stupisce visto che da lì venivano Gianni Bosio e Raniero Panzieri e il loro modo di fare inchiesta sociale: non dare la voce, l’intellettuale che dà le parole alle masse e le guida, ma raccogliere le voci, al plurale, per farle risuonare negli spazi da sempre separati del lavoro culturale. Una scuola che ha modificato anche l’approccio dei marxisti, non di tutti, ma di alcuni, che infatti Fofi ha sentito sempre vicini, fra questi, Bruno Ciari (e quante volte scherzando gli dicevo: “Goffredo guarda che Ciari era del PCI, non fare finta di niente”, e lui, come ha ricordato Marco Cassini nel suo bellissimo ricordo, sorrideva “col suo sorriso da scugnizzo, ed era un piacere per gli occhi e per i sentimenti”). Discutere con lui della storia dell’Italia repubblicana, anche litigando, è stato un privilegio, e mi fa piangere pensare che non accadrà più.