Quando pensiamo a Bambi, inevitabilmente siamo portati a pensare alla tragica storia di quel povero cerbiatto che la Disney ha raccontato nel suo film d’animazione nell’ormai lontano 1942 e che intrattiene ancora oggi dopo il suo bel restauro di pellicola.
Tuttavia, dietro quell’immaginario ben levigato — dove tra l’altro spiccavano personaggi amici come Tamburino e Fiore con lo scopo di alleviare il dolore dell’orfano della foresta e dei bambini troppo sensibili —, si nasconde un libro con delle sostanziali differenze.
“Bambi. Vita di un capriolo”
“Bambi. Eine Lebensgeschichte aus dem Walde”, titolo originale del libro scritto nel 1923 da Felix Salten, mostra la sua sbugiardata alla Disney già da qui. Bambi non è un cerbiatto, bensì un capriolo, una specie di animale appartenente alla famiglia dei cervidi, ma distinta dal cervo rosso, a cui appartiene il cerbiatto. È più snello, più agile, più piccolo degli altri cervidi. Per questo tutta la storia scritta da Salten ha senso nella sua lunga composizione di metafore… ma andiamo con ordine.
Il libro venne pubblicato per la prima volta a Vienna nel 1923 e conobbe subito un enorme successo. Fu tradotto in più di venti lingue, accolto come un classico della letteratura per ragazzi, e ispirò nel 1940 il sequel “I figli di Bambi”.
Tuttavia, ridurlo a un libro per l’infanzia sarebbe come minimizzare su un classico: Salten costruì in realtà un romanzo di formazione allegorico, che usa la vita di un capriolo per raccontare il percorso di crescita, la scoperta della diversità, la precarietà dell’esistenza e il peso dell’ombra minacciosa dell’uomo, “Lui”, figura ombrosa che incarna la morte e la persecuzione.
Dal libro al film: due mondi divergenti
Disney acquistò i diritti del romanzo e nel 1942 produsse un lungometraggio d’animazione destinato a diventare un classico assoluto. Ma l’operazione non fu una semplice trasposizione: piuttosto, una riscrittura radicale dell’opera.
Nel libro, la natura non è un giardino incantato, bensì un mondo incontaminato, teatro spietato in cui vige la legge della sopravvivenza. I dialoghi tra gli animali non hanno la leggerezza comica dei film, ma una dimensione quasi filosofica e certamente costruttiva: sono riflessioni sull’amore, sulla solitudine, sulla paura della morte e sulla vita in sé. La morte stessa non è un colpo di scena drammatico — come accade invece nel cartone animato, quando il cacciatore uccide la madre di Bambi —, ma un elemento costante e pervasivo, che alimenta le pagine del libro di una suspense quasi da thriller.
È chiaro che Disney abbia smussato gli angoli e inserito personaggi adatti a un pubblico infantile per rendere la storia accessibile, ma così facendo ha snaturato la trama e il messaggio di “Bambi. Vita di un capriolo”, rendendo il protagonista della storia non solo un cerbiatto — cosa che non era — ma addirittura sinonimo di dolcezza e fragilità, quando in realtà Salten lo aveva strutturato come un personaggio capace di crescere per spiccare in un testo adulto, allegorico, perfino cupo.
Se il film insegna ai bambini il dolore della perdita e il ciclo della vita, il libro è un ammonimento esistenziale: vivere significa essere costantemente esposti al rischio della violenza, all’arbitrio di una forza superiore che non si può controllare.
Il romanzo come parabola di crescita
Bambi è prima di tutto un romanzo di formazione. Seguiamo il capriolo dalla nascita all’età adulta, assistendo alla sua scoperta del mondo: i primi passi, le voci del bosco, gli incontri con altri animali, le prime esperienze d’amore. Ma, accanto alla meraviglia, c’è sempre la crudeltà: gli spari che abbattono compagni di gioco, il sangue sulla neve, la paura che serpeggia tra i cespugli.
La crescita di Bambi è la presa di coscienza che la bellezza della vita è inseparabile dalla sua fragilità. Questo messaggio non è mai edulcorato: Salten ci ricorda che diventare adulti significa imparare a convivere con la perdita, con la precarietà, con la consapevolezza che “Lui” — l’uomo — è sempre presente, invisibile ma incombente.
In questo senso, Bambi non è solo una favola naturalistica, ma un manuale simbolico sulla condizione umana.
Felix Salten: un autore ai margini
Per comprendere la profondità di questo libro bisogna guardare alla figura del suo autore. Felix Salten — pseudonimo di Siegmund Salzmann — nacque a Budapest nel 1869 in una famiglia ebraica, trasferitasi a Vienna quando lui era ancora bambino. Giornalista, critico teatrale, scrittore, frequentò gli ambienti culturali della capitale austro-ungarica.
Salten era ebreo in un’epoca in cui l’antisemitismo cominciava a insinuarsi nella società europea, e la sua condizione di outsider si riflette nella sensibilità con cui rappresenta la solitudine e la vulnerabilità. Inoltre, secondo varie ricostruzioni critiche, la sua sessualità fu un altro elemento di marginalità: visse la propria omosessualità in modo riservato, in un contesto sociale in cui l’omosessualità era stigmatizzata e perseguita.
Questi elementi biografici spiegano in parte il sottotesto del romanzo: Bambi non è solo la storia di un capriolo, ma anche una parabola sulla diversità e sulla persecuzione, un testo che parla di fragilità, di paura e di sopravvivenza come chiavi di vita.
“Lui”: metafora della violenza umana
Uno dei tratti più inquietanti del libro è la rappresentazione dell’uomo. Salten lo chiama semplicemente “Lui”: una presenza astratta, impersonale, assoluta. Non ha volto né nome, eppure tutti lo conoscono. Porta morte, sangue e distruzione. È il nemico implacabile, ma anche un mistero.
Molti critici hanno letto in questa figura una metafora della persecuzione degli ebrei. Pubblicato nel 1923, Bambi anticipa per certi versi le angosce che diventeranno realtà con l’avvento del nazismo. L’ombra di “Lui” è quella dell’antisemitismo e dell’esclusione, la sensazione di essere sempre braccati, mai al sicuro.
In questo senso, Bambi è un libro che parla del bosco, ma in realtà descrive l’Europa degli anni Venti, le sue tensioni sotterranee, la precarietà di chi apparteneva a una minoranza.
Un libro per adulti (anche se venduto ai ragazzi)
Uno degli equivoci più diffusi riguarda il pubblico di Bambi. Sin dalla sua pubblicazione fu spesso catalogato come letteratura per ragazzi, e l’adattamento Disney consolidò questa etichetta. Ma, leggendo il romanzo, si capisce subito che siamo di fronte a un testo destinato a un pubblico maturo.
Il linguaggio è poetico e filosofico, le descrizioni sono crude, le scene di morte e di dolore non risparmiano. È un libro che parla della natura come specchio dell’esistenza, e che chiede al lettore di confrontarsi con temi universali: la perdita, la solitudine, la violenza, la necessità di crescere accettando la durezza del mondo. Tutto questo, per un bambino, non è facile da capire.
Attualità di Bambi
“Bambi. Vita di un capriolo” è un romanzo che spesso passa in sordina. Raramente qualcuno lo consiglia e raramente si ricorda che Salten è uno scrittore di libri per adulti.
Se il film Disney ha trasformato “Bambi” in una favola struggente per l’infanzia, il libro resta un capolavoro letterario che affronta la vita con lucidità e crudezza. È la storia di un capriolo, certo, ma anche il ritratto di un’umanità fragile, esposta, perseguitata. È un romanzo di crescita che non nasconde il dolore, un’allegoria della diversità e della violenza del mondo.
La poesia delle sue pagine non sta nell’illusione, ma nella consapevolezza che la vita è bellezza e crudeltà insieme, e che solo accettando questa verità si può davvero crescere.