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Nate dieci anni fa per sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari, le Rems rischiano di trasformarsi in ciò che avrebbero dovuto cancellare, cioè in veri e propri “manicomi” dove chi entra non esce migliore. L’allarme è dell’associazione Antigone che denuncia le tante carenze strutturali e di organico delle “Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza”, dove oggi vengono accolti quei soggetti affetti disturbi mentali, autori di reati, a cui viene applicata dalla magistratura la misura di sicurezza detentiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o l’assegnazione a casa di cura e custodia.
Sarebbe meglio in realtà usare il condizionale: “dovrebbero essere accolti”, perché in realtà non sempre è possibile, anche a fronte di disposizioni della magistratura. Emblematico il caso che ha riacceso la questione, quello di una giovane di Terni per la quale il Tribunale di Sorveglianza di Spoleto aveva emesso un obbligo di Rems. In Umbria però queste strutture non ci sono e nelle regioni limitrofe i posti sono già pieni. Dunque la ragazza, con problemi psichiatrici e precedenti penali, dopo un breve periodo di detenzione, aveva accettato il trasferimento presso la Comunità Incontro di Amelia, dalla quale però è scappata. Tornata a casa e allontanatasi ancora, la giovane è affetta da bipolarismo borderline con perizia psichiatrica che ne ha dichiarato già nel 2021 l’assoluta incapacità di provvedere a sé stessa. «Mia figlia può fare del male a sé stessa gli altri, eppure per la legge italiana essendo maggiorenne è libera di fare ciò che vuole», dice la mamma. Eppure in Umbria, le Rems non sono previste, e addirittura in tutta Italia, i posti per le donne sono appena 100.
Un quadro desolante, che a più ampio spettro aveva sottolineato anche il garante dei detenuti umbro Giuseppe Caforio, visto che nelle carceri della Regione, il numero dei detenuti psichiatrici continua ad aumentare. Nelle quattro strutture (ma particolarmente a Terni, dove sono 170 sui 600 attuali) il provveditorato “scarica” infatti tutti i detenuti più pericolosi anche dalla Toscana. La Regione Umbria e le tre Procure della Repubblica sono pronte a fare la loro parte e il Comune di Perugia ha già dato la disponibilità ad ospitare una Rems ma la decisione su nuove strutture spetta solo al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e quindi al Ministero della Giustizia: «Le Rems sono ormai indifferibili, perché le carceri scoppiano e questo tipo di detenuti sono quelli che creano maggiori problemi, scatenando risse e rivolte», sottolinea Caforio.
In tutta Italia le Rems funzionanti sono appena 30, con una capienza complessiva di 606 posti, quasi tutti occupati. Di questi, 120 sono in una unica struttura, quella di Castiglione delle Stiviere, nel mantovano. E ben tre regioni ne sono sprovviste: oltre all’Umbria, anche il Molise e la Valle d’Aosta. Le liste d’attesa, come emerge dal rapporto di Antigone, sono elevatissime (attualmente 690 persone, con punte del 70 percento in alcune realtà) anche se, spiega l’associazione: «Non si tratta di pericolosi criminali in libertà».
Ma il vero problema, spiega Antigone, è che la carenza cronica di personale, che dal sistema carcerario – mancano anche gli operatori sanitari, non soltanto gli agenti – si riflette anche a queste strutture la cui gestione è di competenza della Sanità, sta facendo perdere alle Rems la vocazione originaria, ovvero il recupero alla società della persona che viene accolta.
Parlando a TrendSanità, Michele Miravalle di Antigone spiega che «a volte arrivano nelle Rems persone senza disturbi psichiatrici ma sono antisociali o violenti, a volte con problemi legati all’uso di sostanze. Soggetti quindi con un profilo criminale, che dunque non dovrebbero stare nella Rems. Gli operatori lo segnalano, ma non sono poliziotti e non spetta a loro gestire questo. Così come a volte ci sono anche situazioni in cui una persona che è indirizzata in carcere avrebbe invece bisogno di essere accolta in Rems. Spesso le decisioni del giudice sono prese a ridosso del reato e senza un adeguato approfondimento sanitario e diagnostico».
Il rischio che si torni al vecchio concetto del “manicomio”, dunque secondo Miravalle è dietro l’angolo: «Se vuoi portare avanti un progetto terapeutico e non hai operatori, non hai spazi nelle comunità, non hai risorse per immaginare percorsi alternativi alla Rems. L’assenza di alternative finisce per sfociare solo nella richiesta di un aumento dei posti: strutture grandi e tutti dentro. In questi “recinti” però vivono male tutti, pazienti e operatori».