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Mercoledì il tribunale amministrativo superiore dello stato della Turingia, in Germania, ha stabilito che il memoriale del campo di concentramento nazista di Buchenwald può rifiutare l’ingresso ai visitatori che indossano la kefiah, copricapo simbolo della lotta palestinese, spesso anche indossato come sciarpa. La decisione non è appellabile ed è stata presa in risposta a un ricorso presentato da una donna che voleva indossare la kefiah durante le celebrazioni per l’80esimo anniversario della liberazione del campo, che si sono svolte lo scorso aprile.

Il divieto imposto dalla fondazione che gestisce il memoriale non è totale, e la sentenza ha legittimato questa interpretazione. La posizione del memoriale è che la kefiah può continuare a essere indossata da persone che la usano per motivi etnici e tradizionali, mentre dev’essere vietata a chi la utilizza per criticare le politiche del governo israeliano nei confronti dei palestinesi, paragonandole – secondo un’interpretazione molto ampia – a quelle dei nazisti contro gli ebrei. Stabilire un confine in certi casi, ovviamente, non è semplicissimo.

Quello di Buchenwald è uno dei campi di concentramento più noti della Germania nazista. Fra il 1937 e il 1945 l’esercito nazista vi imprigionò più di 270mila persone, fra cui moltissime ebree: a Buchenwald e nei suoi campi satelliti ne furono uccise circa 56mila e molte furono costrette a lavorare per l’industria bellica tedesca.

La kefiah è un copricapo tradizionale della cultura araba che iniziò a essere associato alla causa politica palestinese a partire dagli anni Trenta. Negli anni Sessanta divenne molto nota perché sempre più leader arabi iniziarono a indossarla, tra cui Yasser Arafat, che fu a lungo capo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Poi per un periodo perse parte del suo significato politico, acquisendolo di nuovo dopo l’inizio dell’invasione israeliana a Gaza nell’ottobre del 2023, quando è tornato a indicare un generale sostegno al popolo palestinese e critica nei confronti del governo israeliano.

Il tribunale della Turingia ha ricostruito che l’intenzione della donna era di «prendere posizione in modo visibile» contro quello che lei considerava essere un «sostegno unilaterale» della fondazione che gestisce i memoriali di Buchenwald e Mittelbau-Dora alle politiche del governo israeliano. Dopo che le era stato negato l’ingresso ad aprile, la donna aveva fatto ricorso al tribunale amministrativo di Weimar, la città dove si trova Buchenwald.

Il tribunale di Weimar aveva dato ragione alla fondazione, sostenendo la legittimità del regolamento interno secondo cui può essere negato l’ingresso a chiunque indossi abiti giudicati inadeguati per il memoriale e per gli scopi della fondazione: cioè quelli di preservare il sito come un luogo di lutto e promuovere una riflessione critica sulla sua storia.

La donna aveva allora fatto ricorso al tribunale della Turingia, che mercoledì ha confermato la sentenza. Ha stabilito che l’interesse della fondazione a «garantire lo scopo» del memoriale prevaleva sul diritto alla libertà di espressione della donna. «È indiscutibile che [indossare una kefiah] metterebbe a rischio il senso di sicurezza di molte persone ebree, specialmente in questo luogo», ha scritto il tribunale.

Una donna che indossa una kefiah aiuta un’altra persona a mettersela durante una manifestazione a favore di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza che si è tenuta a Lisbona, in Portogallo, il 7 aprile 2024 (AP Photo/Armando Franca)

Il mese scorso, mentre il ricorso non si era ancora concluso, la fondazione dei memoriali di Buchenwald e Mittelbau-Dora era stata criticata perché dal processo era uscito un documento interno che descriveva la kefiah come «strettamente associata agli sforzi per distruggere lo Stato di Israele».

Il direttore della fondazione, Jens-Christian Wagner, aveva risposto alle critiche dicendo che il documento conteneva degli «errori» e che quella formulazione avrebbe dovuto essere rivista. Wagner aveva poi precisato che la kefiah non era un simbolo automaticamente vietato all’interno dei memoriali, come invece sono i simboli di estrema destra, e che per esempio poteva essere indossato come un simbolo tradizionale da una persona di origini palestinesi.

I dipendenti però potevano e potranno in futuro chiedere di rimuoverla nei casi in cui venga usata per esprimere pubblicamente posizioni politiche che possano portare a «relativizzare i crimini nazisti». Per i tribunali di Weimar e della Turingia la fondazione è quindi libera di decidere di volta in volta se una persona stia indossando una kefiah con questo obiettivo.

– Leggi anche: Il ritorno della kefiah