Dopo la chiusura nascono diversi tentativi per raccogliere la discutibile eredità. Il gruppo, creato nel 2019, è rimasto inattivo fino a maggio. Negli ultimi tre mesi la pubblicazione delle foto illecite

Senza troppe sorprese, alla chiusura del gruppo Facebook «Mia moglie», che in questo momento è diventato il più celebre d’Italia e non certo per nobili motivi, a cascata sono nati decine di gruppi e canali alternativi. La diaspora che ha colpito i 32mila membri originali sembra si stia scontrando però con il timore delle conseguenze legali. A popolare i gruppi eredi del gruppo principale, ormai brutto ricordo – almeno per il momento – sono poche centinaia di persone. Comunque molte, ma meno rispetto ai numeri che aveva raccolto il gruppo originario, nato nel 2019 e dove venivano pubblicate foto di donne senza il loro consenso. Poca la fantasia: il nuovo gruppo «Mia moglie 2.0» possiede anche i riferimenti per accedere al canale Telegram, anch’esso non popolatissimo. Poi è stato reso privato e raggiungibile solo su invito.

Il seguito

Bisogna dire che la scarsa attitudine informatica di chi gestiva il gruppo originale non ha di certo aiutato i numerosi componenti a ritrovarsi in un canale definito, per chi volesse sfidare ancora la sorte e il buon senso. Benché abbia resistito anni dalla sua apertura, «Mia moglie» è sempre stato pubblico e nessuno si è mai posto il problema di spostarsi in stanze e piattaforme più blindate, almeno fino ad ora. C’è anche da aggiungere che il gruppo ha una storia strana. Nato nel 2019 e creato da un utente che oggi non è più su Facebook, è rimasto inattivo per sei anni. Da maggio 2025 ha iniziato ad essere popolato delle foto che poi sono diventate virali.



















































Dacché è stato chiuso, sono stati diversi i tentativi di resuscitarlo, su Telegram e Facebook, ma la quantità di persone presenti è davvero sparuta. Anche su Telegram, il nuovo canale conta una trentina di persone. I più curiosi entrano ed escono, scoraggiati dalla mancanza di membri attivi e materiale illecito. Sempre che non si tratti di persone disposte a segnalare e rintracciare chi partecipa

Dalla chiusura alla riapertura, il caso del gruppo «Mia moglie» prosegue

Spacciandoci per uno dei 32mila, siamo stati esortati ad invitare persone e ad avere pazienza perché il nuovo gruppo «deve crescere». A quanto pare, si fatica a trovare nuovi (e vecchi) proseliti. Che attendano acque più calme?

La vittima: «Mi sento spezzata in due»

Intanto, una delle vittime, le cui immagini sono state messe alla mercé sui social, ha condiviso un messaggio sulla pagina Facebook Alpha Mom, una community dedicata alle mamme: «Oggi ho scoperto di essere nel gruppo “mia moglie”. Non sapendone assolutamente nulla. Lui si è giustificato dicendo che fosse soltanto un gioco… Abbiamo 2 figli…e 10 anni di matrimonio alle spalle. Foto nostre, private di momenti di vita quotidiana. Mi sento spezzata in due». 

C’è chi risponde con messaggi di vicinanza, chi si offre di offrirle aiuto e chi dubita si tratti di una storia vera ma solo di un tentativo di sciacallaggio. Nei commenti successivi, la donna prosegue: «L’ho saputo tramite mia sorella, un suo amico era nel gruppo e gli ha girato tutti gli screen, alcune foto erano anche state girate su Telegram. Al momento sono da mia mamma con i miei figli, sto pensando a cosa fare. Non è facile, è come scoprire di essere stata sposata con un altro uomo. Ho paura che questo si possa ripercuotere sui miei figli in qualche modo. Sono andata da mia madre perché avevo bisogno di andare via da quella casa. I miei sanno soltanto che abbiamo litigato».

Le dichiarazioni della polizia postale

La vicedirettrice della polizia postale Barbara Strappato ha dichiarato in un’intervista al Corriere: «Stiamo raccogliendo tutte le informazioni, alcune donne si sono riconosciute e hanno sporto denuncia, molte altre sono ancora ignare di essere finite in questo squallido gruppo. Tutti i commenti finiranno nella nostra informativa, i reati vanno dalla diffamazione alla diffusione di materiale intimo senza consenso. Ammetto che mai prima di oggi ho visto frasi tanto disturbanti in un gruppo social, il nostro ufficio ha lavorato 24 ore per bloccare la pagina, abbiamo ricevuto in poche ore più di mille segnalazioni, quello che è accaduto è molto grave, è stato difficile anche per me leggere tutti quei commenti». Nel ’68 Yoko Ono affermò in un’intervista alla rivista Nova che le donne erano il gruppo più oppresso al mondo. Quattro anni più tardi, una canzone di John Lennon celebre anche per la N-word nel titolo recitava: «[…]Mentre la buttiamo giù, facciamo finta che sia più in alto di noi […] Le insultiamo ogni giorno in tv e ci chiediamo perché non abbiano coraggio o fiducia». Un affresco non così diverso, 50 anni dopo.

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21 agosto 2025 ( modifica il 21 agosto 2025 | 19:32)