Ascolta la versione audio dell’articolo
(Il Sole 24 Ore Radiocor) – Niente Banca Generali: ora il destino di Mediobanca resta appeso all’offerta pubblica di scambio di Mps. Partita il cui esito sembra tuttavia anch’esso in gran parte già scritto, considerando la compagine azionaria e la soglia minima decisamente contenuta per l’efficacia dell’ops, pari al 35% del capitale.
A valle dell’assemblea che ha negato al cda l’autorizzazione a procedere con l’operazione Banca Generali, i vertici di Piazzetta Cuccia restano comunque, per il momento, al loro posto e reagiscono attaccando. L’a.d. Alberto Nagel lamenta «l’opportunità mancata» a causa del voto «espresso, in particolare, da azionisti che, anche nell’attività di engagement, hanno manifestato un evidente conflitto di interesse, anteponendo quello relativo ad altre situazioni/asset italiani a quello di azionisti Mediobanca». Il riferimento è al gruppo Caltagirone, a cui fa sostanzialmente capo il 10% del capitale ha votato contro l’operazione, e a Delfin, che con il suo 20% circa ha contribuito a portare al 32% la quota di astenuti, che comprende anche le casse previdenziali (Enasarco, Enpam, Forense) con il 5%, investitori istituzionali come Amundi (gruppo Credit Agricole), Anima (gruppo Banco Bpm) e Tages con il 2% e con altre quote analoghe la Edizione della famiglia Benetton e UniCredit. Delfin e Caltagirone sono anche azionisti rilevanti di Generali e di Mps, parti in causa nelle partite del consolidamento che ruotano attorno a Piazzetta Cuccia. Fonti vicine alla holding della famiglia Del Vecchio, che ufficialmente non commenta, fanno tuttavia notare che il voto assembleare è stato probabilmente espressione delle perplessità relative alle modalità e ai tempi di esecuzione, considerati anomali, più che al razionale strategico dell’operazione.
Per Nagel, in ogni caso, il conflitto di interessi è reso evidente anche dal comportamento degli altri azionisti, il 35% del «mercato» che si è espresso a favore dell’operazione Banca Generali «in linea con le raccomandazioni dei proxy advisor internazionali». Nagel, quindi, al momento resiste, fedele a quello che ritiene essere il suo mandato a difesa degli interessi di Mediobanca e dei suoi azionisti, tanto più che un’uscita improvvisa causerebbe probabilmente uno scivolone del titolo in Borsa. La bussola, ufficialmente, resta il piano industriale “One Brand – One Culture”, su cui il management continuerà a rimanere concentrato, convinto «della superiore generazione di valore rispetto all’alternativa rappresentata dall’offerta di Mps». Nuove valutazioni, naturalmente, si renderanno necessarie a valle della conclusione di quest’ultima, prevista l’8 settembre. Se l’ops di Rocca Salimbeni supererà il 50% del capitale il cda dovrà procedere a convocare un’assemblea per il passare le leve di comando a un nuovo vertice espressione della banca senese. Resta da capire che cosa potrà succedere se Mps si dovesse fermare a una quota di poco superiore al 35% del capitale, situazione in cui diverse maggioranze potrebbero formarsi di volta in volta in assemblea. Anche per questo il mercato guarda a un possibile rilancio dell’offerta, in modo da convincere una quota rilevante dell’azionariato, anche quello che non si chiama Caltagirone o Delfin.
A Piazza Affari lo sconto dell’ops si è ridotto all’1,8% in seguito ai movimenti odierni dei titoli (-1,41% per Mediobanca e -1,13% per Mps): per colmarlo a Siena basterebbe mettere sul piatto altri 315 milioni circa. Chi è uscito peggio dalla giornata di Borsa è tuttavia Banca Generali che, venuto meno il sostegno del risiko, ha perso il 2,86%.