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Secondo indiscrezioni Trump potrebbe assumere un atteggiamento più defilato nell’ambio della mediazione tra Putin e Zelensky e Mosca punterebbe anche a territori non ancora occupati. Mentre si attende che Russia e Ucraina addivengano ad una decisione condivida in merito al bilaterale tra i due presidenti droni e missili russi colpiscono il territorio ucraino. Il generale Antonio Li Gobbi, che ha alle spalle missioni Onu in Siria e in Israele e missioni Nato in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, è stato direttore per le operazioni presso lo stato maggiore internazionale della Nato ed è da vari anni senior mentor per “gestione delle crisi, negoziato e mediazione” presso il Nato Defense College, analizza la situazione attuale nella prospettiva dell’introduzione di garanzie di sicurezza per l’Ucraina con il coinvolgimenti anche di Paesi Nato.


APPROFONDIMENTI

Il Ministero della Difesa ha comunicato che Capo di Stato Maggiore della Difesa Luciano Portolano ha partecipato agli incontri con gli alleati per la “definizione di misure concrete per garantire all’Ucraina solidi strumenti di sicurezza, nell’eventualità di un cessate il fuoco o dell’avvio di un processo di pace”. Quale potrebbe essere il supporto militare da fornire all’Ucraina? In che forme?

«Per valutare il contributo che l’Italia potrà fornire all’architettura di sicurezza da realizzare in favore dell’Ucraina occorrerebbe avere idee più chiare in merito a cosa si sia veramente disposti a mettere in piedi, in termini anche di costi e di condivisione dei rischi, tenendo anche conto degli spazi di manovra che saranno consentiti dagli accordi per il cessate il fuoco. Condizioni per un eventuale cessate il fuoco che saranno diverse da quelle che potranno essere previste con un eventuale futuro ipotetico Trattato di pace. Vedo che si fa anche confusione tra forze di “mantenimento della pace” e “forze di deterrenza” per fornire all’Ucraina opportune “garanzie di sicurezza”. Noi potremmo essere coinvolti solo nelle seconde. Mi spiego meglio. Ove si giungesse a una tregua o a un armistizio, ovvero interruzione dei combattimenti senza una conclusione formale del conflitto, come è ancora oggi tra le due Coree da 70 anni o tra Siria e Israele dopo il conflitto del 1973, potrebbe essere contemplata una “forza di mantenimento della pace” (peace keeping) che dovrebbe essere sotto il comando di un’organizzazione sovranazionale che sia riconosciuta e accettata da tutti gli “stakeholders” della crisi. “Stakeholders” che sono solo tre: Usa, Federazione Russa e Ucraina (non necessariamente l’ue o singole nazioni europee). Giocoforza, si tratterebbe di una forza Onu. I compiti sarebbero limitati alla supervisione sui termini degli accordi, quali ad esempio la verifica di eventuale area demilitarizzata tra le due parti, delle linee di cessate il fuoco, di probabili zone di limitazione delle forze e degli armamenti in prossimità dell’area demilitarizzata che possono essere imposte ai due belligeranti. A seconda degli accordi tra le parti e in base alle decisioni del Consiglio di Sicurezza, e quindi ancora Usa e Federazione Russa, la consistenza di questa forza sarebbe variabile e potrebbe andare da un numero ridotto di “osservatori” disarmati a eventuali forze di fanteria per presidiare la zona demilitarizzata. Forze, comunque, prive di reale supporto di fuoco e con regole d’ingaggio che consentono verosimilmente l’uso della forza solo per autodifesa ma non per imporre il rispetto degli accordi, come purtroppo uso nelle forze Onu. È anche ovvio che le nazioni partecipanti a tale forza dovranno essere considerate neutrali da entrambi i belligeranti. Pertanto, né l’Italia né i paesi cosiddetti “volenterosi” potranno farne parte. Penserei ad esempio ad un ruolo importante per un paese come l’India in un tale contesto, con contingenti di Paesi asiatici, africani e latino-americani. In quest’ottica l’accenno russo alla Cina avrebbe una sua logica, perché la Cina non si è schierata formalmente nel conflitto anche se sappiamo che è vicina alla Russia e presumo gli Usa blocchino una tale candidatura. Cosa diversa potrebbero essere “garanzie di sicurezza” fornite all’Ucraina da paesi amici, che potrebbero essere implementate già nel periodo “grigio” della tregua o armistizio nel caso, improbabile, che gli accordi per la tregua le consentissero, però lontane dalla zona di limitazione delle forze e degli armamenti già citate e quindi, ove consentite, sarebbero necessariamente nell’estremo ovest del Paese. Garanzie di sicurezza che potrebbero perdurare anche dopo il raggiungimento di un effettivo trattato di pace. Solo di queste misure di sicurezza mi pare si sia trattato ieri a Bruxelles nell’apposita riunione del Comitato Militare Nato a livello Capi di Stato Maggiore della Difesa. Queste misure potrebbero prevedere in effetti forze occidentali pre-posizionate in Ucraina come proposto dal presidente Macron. Potrebbero essere anche accordi per interventi di paesi Nato a fianco dell’Ucraina in caso di nuova aggressione, come ipotizzato dalla presidente Meloni. Ciò presupporrebbe peraltro patti chiari e stringenti su cosa rendere disponibile all’emergenza e con quali compiti. Peraltro, prima di poterne parlare con una certa chiarezza bisognerà vedere come procedono i negoziati tra le parti e cosa le nazioni, aldilà delle dichiarazioni alla stampa, siano effettivamente disposte a mettere in campo».

Cosa ne pensa della proposta italiana di estendere le garanzie previste dall’articolo 5 della Nato anche all’ Ucraina sebbene non ne faccia parte?

«Si è parlato molto della proposta, avanzata dall’Italia, di estendere le garanzie previste dall’articolo 5 del Trattato di Washington all’Ucraina, anche senza che l’Ucraina venga ammessa nella Nato.

Molti, in Italia, la presentano come la geniale quadratura del cerchio. Speriamo che sia così e che non si riveli solo un gioco di prestigio dove, a rimanere scoperta e senza protezione, sia in realtà proprio l’Ucraina. Intanto una cornice di protezione “tipo articolo 5” significa che ove l’Ucraina venisse nuovamente aggredita, le nazioni che si siano impegnate a concorrere alla sua sicurezza dovrebbero inviare assetti militari (soldati, aerei e navi) in zona di combattimento. Quindi, è vero che al momento in cui dovessimo promettere all’Ucraina questo supporto non vi sarebbe, magari, l’esigenza immediata di mobilitare nessuno e non ci sarebbero “boots on the ground” dei nostri paesi in Ucraina. Ma se in futuro la Russia dovesse lanciare un nuovo attacco, allora sì che occorrerebbe inviare uomini e mezzi sia in Ucraina sia a difesa delle estese frontiere di paesi Nato confinanti con la Russia. Paesi come Finlandia e le Repubbliche Baltiche non hanno capacità di difesa autonoma dei propri confini nel caso di aggressione russa. Nell’ipotesi più onerosa si tratterebbe di inviare soldati che combattano nelle fangose trincee ucraine a fianco degli ucraini e non di cheerleaders a fare tifo a bordo campo. In quest’ottica mi risulta al momento difficile capire come un tale contributo possa essere fornito, all’emergenza, dichiarando nel contempo che non vi saranno da parte nostra “boots on the ground”. Occorre, infatti, premettere che intervenire militarmente in un conflitto è questione di volontà politica di farlo e disponibilità ad accettarne i costi umani, economici e politici in relazione ad interessi che si vogliono difendere o ottenere. Certo ci sono anche gli obblighi sottoscritti dalla Nazione in tempi diversi. Ci si attiene anche a questi, ma in mancanza della volontà e della disponibilità cui accennavo prima, vi è il rischio che la tentazione di sottrarsi agli impegni assunti con gli alleati possa essere forte e la nostra Storia nazionale nei due Conflitti Mondiali del secolo scorso ce ne fornisce una dimostrazione». 

Non c’è il rischio che alcuni Paesi della Nato possano non essere d’accordo su questa linea?

«Anche oggi il Consiglio Atlantico, appellandosi all’articolo 51 della Carta dell’Onu, potrebbe disporre di intervenire  militarmente a fianco dell’Ucraina, ovviamente solo se tutti i 32 paesi membri lo volessero. Sappiamo che oggi come oggi Usa, Turchia, Ungheria o Slovacchia non sarebbero favorevoli a un tale impegno dell’Alleanza. Se qualche Nazione non dovesse concordare, potrebbe assumere una posizione netta ed impedire la decisione, che deve essere all’unanimità. Un esempio è stato quando nel 2003 gli USA di George W Bush premevano per l’impegno Nato in Iraq, Francia e Germania fecero capire che se si fosse andati al voto loro avrebbero opposto resistenza e  gli USA ripiegarono su una “coalizione di Volenterosi”. Una tale situazione farebbe crollare l’intera architettura di una operazione gestita dalla Nato. Tra l’altro, nei confronti delle nazioni “riottose” non è neanche ipotizzabile una reale pressione da parte degli Usa, che non ritengono che questa sia la “loro “guerra, come sia Trump che Vance hanno ripetutamente messo in chiaro. Una opzione decisamente più morbida sarebbe quella di una nazione che, per non ostacolare la decisione, non voti contro ma pretenda che non vengano impegnati i propri assetti nell’operazione. Questa fu la posizione adottata  dalla Germania quando nel 2011 la Nato, su pressioni Franco-Britanniche lanciò la discutibile operazione aerea contro la Libia».

Se intervenissero in aiuto dell’Ucraina i Paesi Nato non dovrebbero comunque avere una legittimazione internazionale da parte dell’Onu?

Il problema della legittimità dell’intervento alla luce dei canoni del diritto internazionale è, a mio avviso, un problema estremamente serio. Mentre alcune nazioni Nato come Usa e Uk in passato hanno avuto al riguardo un approccio che potremmo definire “sportivo”, per molte nazioni europee, tra le quali annovererei sicuramente Italia, Germania, Spagna, Belgio, Paesi Bassi e i Paesi Scandinavi, l’argomento può essere di vitale rilevanza. Con quale legittimità internazionale i paesi Nato potrebbero intervenire a fianco dell’Ucraina nel caso di un futuro attacco russo? Ovviamente, in totale assenza di un mandato Onu ad intervenire, stanti gli inevitabili veti russi e cinesi in Consiglio di Sicurezza, la Nato per dare legittimità ad un proprio intervento dovrebbe invocare l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Come noto, tale articolo salvaguarda “il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”. Ma il richiamo a tale articolo non sarebbe paragonabile alla valenza di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Peraltro, ove si fosse voluto, si sarebbe potuto intervenire a fianco dell’Ucraina sulla base di tale articolo già a partire da febbraio 2022.

Per quanto attiene all’Italia, ricordo che gli interventi Nato cui abbiamo partecipato sono stati sempre condotti sulla base di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu, con la sola eccezione della partecipazione alle operazioni aeree contro la Serbia del marzo 1999, condotte solo decisione autonoma del North Atlantic Council.

In sostanza, l’eventuale accordo tra i paesi Nato di estendere la copertura dell’articolo 5 ad un paese non-Nato non attribuirebbe all’intervento alcuna legittimità internazionale aggiuntiva rispetto a quella già fornita dall’articolo 51 della Carta dell’Onu. Carta che, a differenza di accordi bilaterali o dello Stesso Trattato di Washington, è riconosciuta a livello globale.

In Italia comunque ogni eventuale intervento dovrebbe passare il vaglio del Parlamento. Quindi non è scontata una nostra partecipazione?

Per un intervento all’estero, fosse anche per una forza di semplice monitoraggio della linea di cessate il fuoco posta  sotto comando ONU, i classici “caschi blu” , è necessario il passaggio parlamentare. Questo avviene anche in altre nazioni ad esempio in Germania. Ovviamente, il supporto parlamentare all’eventuale invio dipenderà dal contesto internazionale in cui si svolge l’intervento, dalla sua legittimità internazionale che in linea puramente teorica poterebbero essere: decisione bilaterale Italia- Ucraina, decisione del North Atlantic Council NATO, richiamo all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite o persino improbabile Risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Certo, il mancato supporto parlamentare ad un impegno assunto dal governo su un argomento di tale rilevanza non potrebbe non essere interpretato come sfiducia sull’esecutivo.

Se la NATO non dovesse essere compatta e dovessero aderire solo alcuni Paesi in caso di operazione militare chi assumerebbe il comando? Gli Ucraini sarebbero subordinati al comando europeo?

La struttura di comando NATO potrebbe essere impiegata solo nel caso che nessuna nazione vi si opponesse esplicitamente ponendo, cioè, il veto a che il supporto militare all’Ucraina sia un intervento NATO. Peraltro, pare che gli stessi USA non siano favorevoli ad un impegno come NATO ma preferirebbero un impegno europeo con un eventuale supporto USA. In caso contrario, i paesi “volenterosi” dovrebbero mettere in piedi una struttura di comando ad hoc basata su un comando esistente fornito da uno di loro oppure porre le proprie forze sotto comando del vertice militare ucraino. Ma, in questo caso, la NATO non c’entrerebbe, almeno ufficialmente, e sarebbe di fatto una “coalizione di volenterosi”. Anche nel caso di un intervento NATO con una sua struttura di comando, come sarebbe il rapporto con gli ucraini? Le operazioni sarebbero gestite dal SACEUR, ovvero dal Comandante Strategico NATO per le Operazioni, generale USA, o da Kiev? Perché le operazioni vengano gestite dalla linea di comando NATO occorrerebbe integrare in toto le Forze Armate ucraine nella NATO, con loro quadri in tutti i livelli di comando. Ovvero, integrazione nella struttura militare dell’Alleanza.  Non un piede dentro e uno fuori. L’alternativa sarebbe porre Forze dei Paesi NATO di fatto sotto comando ucraino.  I nostri governi lo riterrebbero accettabile? Mi augurerei di no.

In caso di impegno militare dell’Italia a favore dell’Ucraina che ripercussioni militari rischia il nostro Paese? 

Il fatto di impegnarsi ad un eventuale concorso alla sicurezza dell’Ucraina comporterebbe certamente dei contraccolpi da parte russa  a livello diplomatico e non escluderei anche qualche attacco cyber .Quindi, ove la deterrenza dovesse funzionare nel tempo, prevenendo eventuali future aggressioni russe, non vi sarebbero contraccolpi militari al nostro impegno.

Ove però vi fosse una nuova aggressione russa all’Ucraina, i paesi NATO che inviassero propri contingenti  a combattere in Ucraina dovrebbero considerarsi di fatto in guerra contro la Federazione Russa  ed eventuali suoi alleati. Pertanto, non sarebbero da escludere azioni militari russe contro assetti e territori di questi paesi. Ovviamente, i paesi più a rischio sarebbero la Finlandia e le tre Repubbliche Baltiche, per motivi sia geografici che storici. Per quanto riguarda l’Italia, che non è confinante con la zona di operazioni, non si potrebbero però escludere, da parte russa, attacchi cyber alle nostre strutture. Non penso solo a quelle militari, si pensi ad attacchi cyber agli ospedali, alle ferrovie o agli aeroporti. Oppure anche  lanci missilistici da posizioni russe in Nord-Africa, ad esempio da zone della Cirenaica dove i russi sono presenti in maniera considerevole per supportare Haftar, contro nostre istallazioni militari ad esempio la Base di Sigonella o altre basi militari italiane in Sicilia. Oppure azioni tendenti ad intensificare il flusso di migranti da aree del Nord africa sotto influenza russa.

Putin è realmente intenzione a trattare la pace o temporeggia solamente? 

Ha interesse a negoziare la pace chi ritenga di poter ottenere condizioni migliori dal negoziato che dalle armi. La Russia sicuramente non sta vincendo la guerra sul campo, ma al contempo, l’Ucraina sul campo sta perdendo territori, sia pure lentamente. Soprattutto però, per quanto la prosecuzione del conflitto costi ai russi in termini di perdite umane e di danni economici, si tratta di perdite che Mosca può assorbire meglio di quelle subite in termini umani e infrastrutturali dall’Ucraina.  Ritengo che sia Trump che Putin siano convinti che l’Ucraina abbia più bisogno della Russia di giungere ad una cessazione delle ostilità e che i negoziati partano da questa crudele ma realistica considerazione.

Quindi, certo Putin ha interesse a negoziare la pace, ma non a qualsiasi condizione e ritiene, a torto o a ragione, che il tempo lavori a suo favore. Soprattutto, perché è evidente che l’amministrazione e l’elettorato Usa sono stanchi di mettere risorse a favore dell’Ucraina e forse gli europei non saranno in grado di far seguire fatti concreto alle tonanti dichiarazioni di principio.

È, pertanto, comprensibile che Putin sia disposto ad un accordo solo a condizione che gli venga riconosciuto con il negoziato più di quanto ha conquistato sul terreno. In caso contrario, Putin potrebbe  ritenere che gli convenga continuare a combattere. La Russia parte dalla considerazione  che il tempo giochi a suo favore, anche se l’andamento delle operazioni russe, sinora, non è stato certo brillante.

Quando si parla di territori da cedere a che aree aspira principalmente Putin? 

Intanto la Repubblica Autonoma Crimea  e la città di Sebastopoli per Mosca non possono essere messe in discussione, sia per la loro importanza militare, come sede dell’unica grande base navale in territorio russo con accesso al Mar Nero e al Mar Mediterraneo, sia per ragioni storiche: la Crimea era parte della repubblica russa dell’URSS sino al 1954, quando l’ucraino Krusciov la passò alla repubblica ucraina della stessa URSS. Poi presumo che la Russia  si aspetti di ottenere  per intero i 4 oblast che reclama: Luhansk, Doneck, Zaporizia e Kherson. Questa potrebbe essere ovviamente la posizione negoziale iniziale. Poi dipende come andranno le trattative.  Ritengo che nel 2022 i russi si proponessero di acquisire anche la città portuale di Odessa e tutta la fascia costiera sul Mar Nero da Kherson sino a collegarsi alla Transnistria, ma il loro evidente fallimento nelle operazioni navali ha reso questo obiettivo irraggiungibile. In fase di negoziati presumo che la Russia sarebbe disponibile a contenere le proprie pretese territoriali in cambio di un contenimento delle misure che i paesi europei metteranno in atto per garantire la sicurezza futura ucraina.


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