voto
7.0

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Due fratelli che da oltre dieci anni esplorano lo studio della musica, due polistrumentisti curiosi nel fondere generi diversi, due incredibili interpreti dalle spiccate doti legate all’improvvisazione: questi sono gli Asymmetric Universe, ovverosia Nicolò e Federico Vese. Dopo alcuni singoli e qualche apparizione dal vivo – come all’Arctangent Festival nel Regno Unito – sotto l’etichetta Inside Out Music danno ora alle stampe il loro debutto “A Memory And What Came After”, un concentrato strumentale di progressive, jazz, funk il tutto potenziato da un forte substrato metal.

Le componenti per un buon lavoro ci sono tutte: la tecnica è sopraffina, la scrittura ricercata e mai banale, anche se forse a tratti troppo di nicchia. Infatti, quello che può rendere di difficile assimilazione questo album è che nel complesso troviamo alcuni brani troppo ruvidi, spigolosi, con esercizi di tempi dispari e tapping, come in “Fair Enough” e in “Dancing Through Contradictions”, contrapposti invece ad altri che sono la quintessenza del suono cinematico, come la conclusiva “Those Who Stay” o la seconda parte di “Reaction-Overthrow”. Tutto questo, preso in considerazione con un ascolto complessivo, potrebbe risultare un limite, perché a volte lo stacco è decisamente netto tra brani ipertecnici e passaggi fusion o intermezzi più spensierati; esempio ne è l’apripista “Coquelicot”, dove si passa dal funk al metal tecnico in pochissime battute e dove troviamo a suggellare questa complessità un assolo di Richard Henshall degli Haken. Per non parlare poi di come, seguendo la scia delle improvvisazioni jazz, troviamo arzigogolati assoli nel brano “Opaco”, subito contrapposti ad arpeggi soavi che qua e là trovano risalto nel muro sonoro.
Va dato atto che, da ottimi polistrumentisti, molti arrangiamenti e concatenazioni appaiano ben riusciti, così come un gran punto a loro favore è l’inserimento dei fiati, tra il sassofono morbido e le trombe, con i loro passaggi esclamativi, e gli archi avvolgenti (violino, violoncello, viola). Questo li diversifica dai vari esponenti che sono arrivati a un più ampio pubblico, come Matteo Mancuso, i Polyphia, gli Animals As Leaders e altri gruppi che negli ultimi anni hanno dato alle stampe numerosi dischi strumentali. Il duo insomma sembra porre una marcata impronta jazz nei passaggi di chitarra, più vicini alle sfumature di Pat Metheny o Erik Morgrain, che al metal classico.

Nel complesso, “A Memory…” risulta dunque un prodotto particolarmente rivolto agli appassionati dei tecnicismi e agli ascoltatori aperti alle esplorazioni di genere, visto che i fratelli Vese non rimangono appunto chiusi in schemi predefiniti, ma amano allargare gli orizzonti, in brani che possono benissimo trovare spazio come colonna sonora o come improvvisazioni in un quartetto jazz. Risulta quindi positivo l’eclettismo, mentre convincono un po’ meno certi passaggi dal groove troppo marcato.