voto
8.5

  • Band:
    OZZY OSBOURNE
  • Durata: 00:57:07
  • Disponibile dal: 17/09/1991
  • Etichetta:
  • Epic

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Perché, arrivato al sesto album in studio, Ozzy Osbourne decide di chiamare il secondo disco con Zakk Wylde “No More Tears”? Ci sono diverse cose da dire, prima di analizzare quello che, a conti fatti, è uno dei migliori album della carriera solista dell’ex Black Sabbath.
Intanto, c’è un prima e un dopo, nella vita del nostro caro John Michael Osbourne. I maligni diranno che c’è un prima Sharon e un dopo Sharon, quelli più gentili che c’è un prima Randy e un dopo Randy, ma noi preferiamo credere che ci sia un prima fatto degli eccessi che hanno reso Ozzy una rockstar riconosciuta per la sua pazzia, e un dopo con un uomo più maturo, pur restando sempre uno showman in bilico fra il clownesco e le tentazioni dell’alcool.
Fra il 1990 e il 1991, Ozzy cerca infatti di combattere il suo bisogno di dissociarsi dalla realtà attraverso l’etanolo: dirà spesso che “No More Tears” è stato il primo album che abbia mai registrato da sobrio.
Con una carriera solista più che avviata, un nuovo chitarrista come Zakk Wylde perfettamente integrato nella band dopo “No Rest For The Wicked” e tante buone intenzioni, il cantante comincia a vedere la realtà senza più la cortina protettiva delle sostanze, e sembra quasi che ne abbia paura.

Forse è anche per questo che “No More Tears” si chiama così: la copertina iconica con la sua fotografia, dalla cui schiena spunta un’ala angelica fa subito presupporre un cambio di attitudine, in parte già avviato col disco precedente. Sempre da interviste dell’epoca, sappiamo che i magazine specializzati avevano sparso in giro un rumor – poi smentito dal Madman – che questo sarebbe stato l’ultimo disco di Ozzy solista, quindi possiamo solo immaginare l’attesa spasmodica che i fan provavano.
Attesa ampiamente ripagata, perché “No More Tears” è fra i dischi più belli ai quali Osbourne abbia mai lavorato, senza contare l’aiuto fondamentale di Zakk Wylde e Randy Castillo, ma – soprattutto – di Lemmy Kilmister, che firma insieme all’ex Black Sabbath ben quattro testi del disco, fra cui le iconiche “Mama I’m Coming Home” ed “Hellraiser”. In un certo senso, sin da “Mr. Tinkertrain”, si nota come quella vena di cupezza che attraversava i dischi di Ozzy da solista emerga ancora più potente: il basso non più nascosto dietro le chitarre, la distorsione ancora più cupa e pesante e la tastiera di Jon Sinclair che colora gran parte dei brani.

Riascoltandolo a quasi trentacinque anni di distanza, si nota la qualità degli arrangiamenti, le mille sfaccettature date dalla chitarra di Wylde e dal basso di Bob Daisley (sostituito nei video da Mike Inez, che suonò anche nei tour del disco), la varietà incredibile delle tracce, con la ballad “Time After Time” e quel gioiello di “Zombie Stomp”, a metà strada fra hair metal e heavy classico. Un Ozzy più maturo, adulto, che nelle interviste dichiarava come per la prima volta da anni non fosse stressato dalle sue manie di perfezionismo, sapendo di avere alle spalle una band di persone a cui voleva bene, mentre flirtava con gli ex Black Sabbath per una possibile reunion che si sarebbe poi concretizzata qualche anno dopo. Non mancano inoltre momenti più scherzosi come “A.V.H.”, che Ozzy racconterà in un’intervista essere l’acronimo di “Aston Villa Highway”, dedicata ovviamente alla squadra di calcio di cui sarà sempre tifoso fino alla fine, mentre la traccia che dà il nome al disco potrebbe essere un bigino di come fare una canzone iconica che resta in testa senza volerlo, complice anche lo spettacolare video che si conclude con una giovanissima Kelly Osbourne vestita da angioletto.

L’importanza di questo disco, inoltre, è completata dalla meravigliosa produzione firmata da Duane Baron e dal mixing affidato alle mani d’oro di Bob Ludwig: in un certo senso, ascoltandolo bene, si può già intravedere quel seme che sboccerà nel primissimo nu metal e che prelude l’epoca della svolta anni Novanta di MTV. Pur essendo uscito lo stesso anno dell’esplosione di “Nevermind” dei Nirvana, “No More Tears” è stato uno di quegli ultimi vagiti dell’heavy metal vecchia scuola, portandosi dietro tutto il suo carico di emozioni e contraddizioni che da sempre ha contraddistinto la carriera del Madman.

Insomma, se avete appena scoperto l’heavy metal e state leggendo questa recensione, non possiamo che consigliarvi di andarvi ad ascoltare questo disco, in bilico perfetto fra il metal classico degli anni Ottanta e la svolta moderna della decade successiva. Se, invece, l’avete comprato nel 1991 e siete qui a leggere per l’effetto della nostalgia, vi invitiamo a rispolverare il disco più maturo di Ozzy Osbourne, cercando di asciugare le lacrime e andare avanti, come lui ci ha sempre insegnato a fare.