Una notte, un conto alla rovescia, una donna pronta a tutto pur di salvare la propria casa. È questa la premessa di La notte arriva sempre (Night Always Comes), il nuovo film arrivato su Netflix e che ha lasciato molti spettatori incollati allo schermo fino all’ultimo minuto, conquistando il primo posto tra i film più visti del momento. Eppure, una volta arrivati al finale, più di qualcuno si è chiesto: cosa significa davvero quell’epilogo così amaro e insieme liberatorio?

Il film, diretto da Benjamin Caron e tratto dal romanzo di Willy Vlautin, segue la corsa disperata di Lynette (Vanessa Kirby). Ha poche ore per racimolare 25.000 dollari, altrimenti lei, la madre Doreen (Jennifer Jason Leigh) e il fratello Kenny (Zack Gottsagen) finiranno in strada. Ma invece di trovare sostegno, Lynette si scontra con vecchi amanti, amiche inaffidabili e un ex che riapre le ferite peggiori del passato. Ogni decisione la porta più in basso, in una spirale che sembra senza uscita. Proprio quando sembra avere la situazione in pugno, la verità viene a galla: è la madre ad aver sabotato l’acquisto della casa, preferendo spendere i soldi per un’auto nuova. È il colpo di grazia. Lynette comprende che la sua lotta non è solo contro la precarietà economica, ma contro un legame familiare tossico che la tiene intrappolata.

Così compie la scelta più difficile: saluta Kenny, lascia del denaro alla madre e all’amica, e se ne va. Non c’è la conquista della casa, non c’è un trionfo facile. C’è invece un addio carico di rabbia, dolore e finalmente libertà. Benjamin Caron è stato chiaro in proposito: «L’idea che si possano fare tre lavori e non riuscire comunque a permettersi una casa è una tragedia moderna», ha dichiarato a Tudum. «La storia di Lynette rappresenta milioni di persone della working class — infermiere, badanti, madri single — sistematicamente escluse dalle città che fanno funzionare» ha aggiunto. Per lui, il cuore del finale è nell’atto di ribellione: «Alla fine, il più grande atto morale di Lynette è scegliere se stessa, rompere il ciclo di autodistruzione che ha definito la sua vita. Per la prima volta affronta l’ignoto con un senso di autonomia». 

Vanessa Kirby, che con Lynette regge l’intero film, ha raccontato di essersi subito riconosciuta nel realismo della storia: «Sembrava una delle migliaia di storie là fuori. Ho incontrato tante persone che si sono trovate in situazioni disperate come Lynette. Ho ammirato la sua ferocia e la sua dedizione nel cercare una vita migliore, e spesso è un viaggio durissimo da affrontare». Secondo l’attrice, il cuore emotivo non è solo la lotta individuale, ma soprattutto il legame con il fratello: «Ho sempre sentito che al centro di questa storia ci fosse il rapporto tra fratelli. Entrambi affrontano le proprie difficoltà, e le loro vite sono profondamente intrecciate». Kirby ha difeso anche le scelte impulsive della protagonista, spesso contestate dagli spettatori: «Lei prende delle decisioni sbagliate, ma non perché lo voglia. Anzi, le sue intenzioni sono di fare del bene. Penso che tutti possiamo riconoscerci in quei momenti improvvisi in cui si decide d’istinto, e per lei tutto questo si concentra in una sola notte».

La notte arriva sempre non regala insomma il classico lieto fine. Lynette non conquista la casa né la sicurezza economica. Ma conquista se stessa. Il suo addio non è una fuga, è la decisione di tagliare un legame tossico e ricominciare, anche nell’incertezza. Ecco il vero senso del film: la salvezza non si trova in quattro mura, ma nell’atto radicale di prendersi finalmente cura di sé. Avete visto anche voi le stesse cose, nel finale? Diteci la vostra, come sempre, nei commenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA