«Ho cinquantun anni e non sono in grado di affrontare la natura corrosiva dell’internet. Questa roba mi fa male, mi rovina le giornate: come faccio a dare una droga del genere a qualcuno che ha dodici anni, che ne ha sette?». L’ha detto Robbie Williams, in un’intervista alla televisione inglese, spiegando perché i suoi figli «non avranno un cellulare finché sarà umanamente possibile».
È Robbie Williams l’unico adulto intelligente in circolazione? Io temo di sì, anche se in America il libro di Jonathan Haidt è primo nella classifica della saggistica da un anno e mezzo (s’intitola “La generazione ansiosa”, in Italia lo pubblica Rizzoli). Temo di sì per due ragioni.
La prima è che, ogni volta che si parla del libro di Haidt (secondo cui non dovrebbero entrare i cellulari a scuola, non li dovrebbero avere i ragazzini fino a quattordici anni, e fino a sedici non si dovrebbe poter stare sui social), ogni volta che si discute del fatto che i cellulari a questi ragazzini non fanno mica bene, c’è sempre qualcuno che dice: eh ma come si fa, bisognerebbe essere tutti d’accordo perché in classe non li avesse nessuno. Che significa: sono arrivato all’età dei datteri essendo un tale piscialetto da non essere in grado di negare a mio figlio un attrezzo che i suoi compagnucci di scuola hanno.
È Robbie Williams l’unico della mia generazione con abbastanza carattere da dire ai figli, che gli dicono che gli amichetti hanno il cellulare e insomma è un’ingiustizia, «e tu invece no perché qui comando io»? Temo di sì, e temo anche che i figli di Robbie Williams saranno gli unici in grado di tornare da un concerto la sera in cui i telefoni dovessero essere scarichi: la generazione cresciuta con le mappe nel telefono non sa attraversare la strada, senza.
La seconda e più importante ragione è: i ragazzini ai quali i cellulari stanno brasando il cervello sono un problema minore, rispetto agli adulti ai quali l’hanno già brasato. Solo negli ultimi giorni, elenco non esaustivo.
La pagina Facebook sulla quale dei tizi mettono delle foto che forse sono decine di migliaia di nuovi casi Pelicot e forse sono solo mitomanie, ma comunque sono dei tizi che pubblicano delle presunte foto di mogli e fidanzate discinte senza un guadagno che non sia la dopamina dei like, solo per esibizionismo.
Esistevano i criminali anche venti, quaranta, sessant’anni fa? Sì, ma non regalavano foto agli sconosciuti, perché prima di pagare lo sviluppo e la stampa ti fermavi a pensarci, e perché le sinapsi non erano ancora così fritte da voler pubblicizzare i reati. Vent’anni fa i delinquenti che sapevano di delinquere cercavano di non farsi beccare. I delinquenti di questo secolo si fanno gli autoscatti con la refurtiva. Se non pensate sia una prova che le telecamere del telefono hanno fritto definitivamente i cervelli, io non so come spiegarmelo più chiaramente.
Comunque: la pagina, con trentamila iscritti, è stata aperta sette anni fa, ci sono voluti sette anni prima che qualcuno si svegliasse e la segnalasse alla polizia postale che l’ha inutilmente fatta chiudere. Inutilmente perché non è che se sgomberi il ritrovo degli scemi a quelli gli guarisce la scemenza e non trovano altri posti in cui riunirsi.
Proseguiamo con l’elenco. Le due che non ho capito neppure se fossero medici o farmaciste, e che hanno fatto la scenetta filmandosi mentre buttavano via le scatole di medicinali prodotti da azienda israeliana. Ho un limite culturale: ritengo il boicottaggio una forma di scemenza pari allo sbattezzarsi. Sono una consumista così pura che mi sembra impensabile comprare o non comprare qualcosa per ragioni diverse dal mio gradimento per quella cosa. Figuriamoci se mi metto a controllare chi produce cosa per veicolare le mie simpatie politiche negli acquisti.
Ciò detto, se ti filmi mentre fai il gesto di protesta, poi ti spaventi per le prevedibilissime polemiche, e allora fai il video di scuse, se filmi i tuoi tatuaggi e la tua scarsezza dialettica e le tue virgolette fatte con le mani o perché sei militante politica goffa o perché volevi un minuto di fama, per me sei scema. E va bene, la maggior parte degli esseri umani sarà inevitabilmente scema, ma accendersi la telecamera in faccia non migliora le cose. Anzi.
Ulteriore e vagamente più grave punto dell’elenco di scemenze recenti. Lunedì è morto un signore francese di cui né io né voi avevamo mai sentito parlare, che dalle descrizioni era tale e quale al protagonista di “Common people”, la prima puntata dell’ultima stagione di “Black Mirror”: quella in cui un uomo, per pagare l’accesso a una cloud che costituisce il cervello della moglie che se non l’avesse così sostituito sarebbe morta, si sevizia davanti alla webcam per il diletto degli spettatori su una piattaforma.
Poiché non so niente, pensavo che la piattaforma su cui uno si fa seviziare in diretta in cambio di offerte in danaro fosse il frutto della fantasia di Charlie Brooker, il genio che ha inventato “Black Mirror”, e non sapevo che esistesse questa Kick, australiana e aperta da uno che ha fatto i soldi con le criptovalute (altro indizio che in genere non sei uno cui affiderei i destini della popolazione).
Kick è, mi dicono, più permissiva di piattaforme come Twitch o OnlyFans, e le cronache dicono che il signore francese era oggetto di violenze alle quali assistevano anche quindicimila persona alla volta. Quindicimila tizi che non vanno più al Colosseo a guardare i cristiani sbranati dai leoni, quindicimila tizi che adesso la ricreazione violenta la fanno comodamente da casa, acciocché l’essere delle bestie possa essere più rilassante: ti versi da bere, accendi la telecamera, e ti guardi una diretta in cui se sei fortunato qualcuno crepa. Costa meno del biglietto per vedere “Mission: Impossible”, e vuoi mettere il friccico.
Forse su Kick è tutto finto, come forse era tutto finto sulla pagina Facebook dei mariti italiani esibizionisti. Il defunto era stato interrogato dalla procura di Nizza a gennaio, e pare avesse detto di lasciarlo in pace, che non era vittima manco per niente, faceva seimila euro al mese, chi erano loro per sindacare le sue perversioni o la sua sussistenza.
Gli avvocati dei due tizi accusati di averlo torturato dicono che è morto perché aveva problemi cardiaci, che forse non è una premessa ideale per fare il mestiere del torturato davanti alle telecamere, ecco, se posso permettermi un’ipotesi pur non essendo cardiologa.
Io prometto di smetterla di dare tutte le colpe alle telecamere sui telefoni, se voi in cambio mi dite che differenza c’è tra i tredicenni che rubano una macchina e investono una poveretta e dopo averla uccisa vanno al centro commerciale, e l’adulto che si fa seviziare per soldi e gli adulti che lo guardano morire come una volta sarebbero andati al cinematografo. Anzi, ve la dico io: che i tredicenni sono neurologicamente giustificati nel loro fare stronzate, perché la parte del cervello che dice che le azioni hanno conseguenze è normale che in loro non si sia ancora formata. Mi piacerebbe sapere se grazie a questi strumenti che continuiamo a sottovalutare ora tarda a formarsi anche a noi, se è per quello che siamo così scemi fino a così tardi.
La mia scuola elementare si trovava in un parco. Si trova ancora lì, la scuola: esiste ancora, ma in quel parco non c’è più, come quand’ero piccina, lo zoo proprio davanti al cancello della scuola, la gabbia del leone che ti accoglie all’uscita. Oggi sarebbe inaccettabile, perdinci, il leone in gabbia, gli animalisti se succedesse pianterebbero un casino.
Lo tuteliamo, il leone, più dei cristiani, che avranno tutti – piccoli scolari, e genitori che li vanno a prendere perché sono protettivi – un cellulare con una telecamera e il collegamento all’internet. Perché, essendo tutti scemi, non hanno capito che sono protettivi sulle cose sbagliate, e che ha ragione Robbie Williams quando dice che lo smartphone costituisce abuso di minore. Non solo di minore, aggiungerei io.