Malgrado le sue divisioni e per quanto indebolito (e forse senza più la brama di pesare come una volta sui destini del mondo), negli ultimi tempi il Vecchio continente si è ritrovato unito davanti alle crisi: quella finanziaria del 2008, quella del Covid, la crisi interna della Brexit, ed ora quella dell’aggressione russa all’Ucraina

L’Europa tiene botta. Malgrado le sue ataviche divisioni, e nonostante la doccia scozzese continua delle dichiarazioni di Washington e Mosca, il dopo vertice di Anchorage mostra un’Europa unita, decisa a contare per quello che può e convinta delle sue ragioni.

I commenti su un continente “che non conta nulla” stanno lasciando il posto ad una narrazione più equilibrata. Inutile ridire che l’Europa non è più una grande potenza e non ha armi di nessun tipo per sfidare le due superpotenze.

È questo il risultato di due guerre mondiali, scatenate dall’Europa stessa e che hanno rappresentato il suo suicidio politico e in termini di potenza. Tuttavia questa Europa così indebolita (e forse senza più la brama di pesare come una volta sui destini del mondo) negli ultimi tempi si è ritrovata unita davanti alle crisi: quella finanziaria del 2008, quella del Covid, la crisi interna della Brexit, ed ora quella dell’aggressione russa all’Ucraina.

Ovviamente in ognuno di tali frangenti si poteva fare meglio, essere più rapidi e operare più efficacemente: ogni critica è giustificata. Eppure alla fine si è riusciti a produrre politiche comuni funzionanti. A furia di riunioni a Bruxelles (che all’opinione pubblica risultano sempre opache e fumose) i 27 riescono a capirsi anche quando hanno opinioni divergenti.

Ciò ha ancora più valore se si considera che al governo di vari stati membri dell’Ue vi sono partiti o coalizioni provenienti da politiche euroscettiche se non anti-europee, a dimostrazione che, visto da vicino, il processo unitario convince più di quanto si creda. Una menzione speciale va fatta alla Gran Bretagna, che in questa fase si è schierata con l’Ue senza tentennamenti, anche quando la linea europea era contraria alla volontà degli Stati Uniti con i quali Londra mantiene una storica relazione speciale, anzi utilizzandola come una leva.

La riunione alla Casa Bianca del “gruppo dei sette” assieme a Volodymyr Zelensky dimostra che l’Europa non è irrilevante e reclama che le sue opinioni siano tenute in considerazione. Pur non essendo una superpotenza, l’Europa diventa un ostacolo per le due superpotenze che devono tenerne conto, almeno in parte. Ciò non è garanzia sufficiente di successo per il tentativo di Donald Trump di portare a modo suo la pace in Ucraina, ma almeno offre un quadro di riferimento valido anche per russi e americani.

L’Europa ha molte fragilità, ma conosce bene anche le debolezze delle due superpotenze. Gli Stati Uniti soffrono di una crisi interna che sta dividendo il paese a molti livelli, rischiando di rendere la sua tenuta sociale molto difficile. Il movimento Maga non basta per ridurre le tensioni razziali e ideologiche attuali. La politica dei dazi di Trump è un’implicita ammissione di fragilità del sistema industriale americano; la sfida tecnologica con la Cina provoca ansia e paure.

Anche dal punto di vista militare Washington paga il prezzo di tante guerre sbagliate e non vinte. Di conseguenza nessuno può dire con certezza cosa accadrà alle vicine midterm o alle prossime presidenziali.

Qui si innestano i problemi della Russia. Molto di ciò che è avvenuto in Alaska lo si deve anche alla preoccupazione russa sulla forza del partner americano. Per quanto tempo durerà l’attuale politica di apertura? Se a ciò si sommano la perdita del Caucaso, della Siria e le difficoltà in altri quadranti, si comprende bene come Mosca intenda approfittare dell’attuale finestra di opportunità per ottenere tutto ciò che può. Oltre alle perdite umane, la trasformazione dell’economia russa in assetto da guerra non è senza conseguenze: anche per la Russia il conflitto è costoso e non potrà essere protratto all’infinito.

Per riuscire ad avere un ruolo gli europei devono fare un bagno di realismo. Prima di tutto occorre tener conto dell’inevitabilità russa. Come scrive Greta Cristini: «Mosca già era imprescindibile. Pensare di poter estromettere un ex impero e lo Stato più grande al mondo dai tavoli internazionali è una boutade irrealistica, tipica dei riduttori di complessità. Con la Russia bisognerà trattare sempre».

Nel contempo l’Europa non deve lasciarsi intimidire: l’aggressività russa e la prepotenza americana nascono dalle difficoltà dei due grandi imperi e dalle loro insicurezze. Se ci sarà accordo di pace, sarà controverso, sofferto e “ingiusto”: l’Ucraina dovrà rinunciare ad una parte del suo territorio. Ma ciò che conta è che l’Europa possa essere tra coloro che gestiranno il futuro della pace garantendo la sicurezza di Kiev.

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