Ci sono malattie che credevamo ormai scomparse e che invece ritornano. È il caso della scabbia, di cui recentemente è stato scoperto un focolaio presso l’ospedale di Settimo Torinese: tutto sarebbe partito da un’operatrice sociosanitaria, definita «paziente zero», che avrebbe a sua volta infettato una o più degenti anziane. Per precauzione, l’intero reparto Cavs, al primo piano della struttura di via Santa Cristina – dove sono ricoverati circa un’ottantina di pazienti – è stato posto in «quarantena». «Ci siamo subito attivati per la profilassi di tutto il personale e dei pazienti», ha dichiarato Giuseppe Gulino, direttore sanitario dell’ospedale, come riporta La Stampa, «e abbiamo disposto la sanificazione completa degli ambienti, così da ridurre al minimo ogni rischio di ulteriori contagi».
Ma che cosa è esattamente la scabbia, malattia che sembrava appartenere a epoche passate e che invece risulta ancora presente?

«Possiamo considerare la scabbia una malattia di ritorno», spiega Giovanni Di Perri, Direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Universita’di Torino. «Dopo la Seconda Guerra Mondiale era quasi scomparsa, grazie alle migliorate condizioni igieniche. Ma oggi, con l’aumento di viaggi e flussi migratori, i casi sono aumentati. La scabbia è una malattia antica che continua a riemergere».

Scabbia: che cos’è

Dermatitis, eczema, allergy, psoriasis concept. Annoyed middle-aged man in white t-shirt scratching itch on his arm, grey studio background. Bearded man itching rash on his elbow, copy spaceProstock-Studio

La scabbia è una malattia della pelle causata da un minuscolo parassita, l’acaro Sarcoptes scabiei. Non si vede a occhio nudo, ma scava piccoli cunicoli nella pelle che provocano un prurito fortissimo, soprattutto di notte.

«Si tratta, per essere precisi, di un ectoparassita», precisa Di Perri, «cioè di un organismo capace di sopravvivere anche al di fuori dell’ambiente cutaneo, sia dell’uomo che degli animali, ma solo per un periodo limitato, cioè in genere 2–3 giorni». Continua: «Per nutrirsi, l’acaro penetra nello strato più superficiale della pelle e scava minuscole gallerie, all’interno delle quali depone le uova. Senza trattamento, l’infestazione può persistere a lungo, anche decenni, perché il ciclo vitale degli acari continua a ripetersi».

I numeri in Italia e nel mondo

La scabbia è oggi un problema sanitario globale: l’OMS stima che il numero annuale di casi di superi i 400 milioni di persone ogni anno. In Italia, le evidenze disponibili indicano un allarme generalizzato in diverse regioni, con un drammatico e repentino aumento dei numeri nel dopo pandemia: il fenomeno è stato descritto da SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse) come un’emergente minaccia di salute pubblica, in particolare nelle strutture condivise e comunità affollate.

Da sempre la scabbia è legata all’idea di povertà: «Un tempo si chiamava rogna ed era considerata un segno di miseria: più o meno è rimasta associata a uno stigma sociale». Non si tratta, però, di un fenomeno che colpisce solo chi ha scarsa igiene: «Abbiamo visto casi anche in coppie tornate da vacanze all’estero, probabilmente dopo aver dormito su lenzuola non igienizzate. La scabbia può colpire chiunque», sottolinea Di Perri.
La trasmissione avviene «soprattutto in comunità: dormitori, carceri, RSA, campeggi. Non è una colpa individuale: è una malattia contagiosa che approfitta degli ambienti affollati».

Quali sono i sintomi principali?

Il prurito intenso, soprattutto di notte. Le lesioni, visibili come linee grigiastre o rossastre che portano a grattarsi molto, si trovano spesso tra le dita delle mani, nelle pieghe cutanee (ascelle, gomiti, genitali, inguine, glutei), nella zona dell’aureola mammaria e della regione periombelicale. Nei bambini piccoli e negli anziani le zone colpite possono essere anche i palmi delle mani e piante dei piedi, il cuoio capelluto e gli spazi dietro le orecchie.

Come si cura?

La scabbia si cura principalmente con trattamenti topici, come creme o lozioni, che uccidono gli acari e le loro uova. In alcuni casi, può essere necessario un trattamento orale. «Oggi si usa soprattutto la permetrina, da applicare sulla pelle di tutto il corpo, dalla nuca in giù, e si rimuove dopo 8-14 ore. Altro trattamento è l’ivermectina, che si assume per bocca. In pochi giorni la situazione migliora, anche se le tracce cutanee possono restare un po’ più a lungo».

È fondamentale che il trattamento venga esteso a tutte le persone che vivono nella stessa casa, anche se non presentano sintomi, inoltre è assolutamente necessario lavare e disinfettare vestiti e lenzuola: «Indumenti, lenzuola e asciugamani devono essere lavati in lavatrice ad almeno 60 gradi, se non è possibile occorre chiuderli in un sacco per 5-7 giorni: l’acaro, senza pelle da infestare, muore di fame. Lavare e trattare la biancheria è la condizione per evitare reinfezioni», conclude Di Perri.