di
Gaia Piccardi

Jannik Sinner conferma di stare bene dopo il virus di Cincinnati: «Sarò al cento per cento per l’Us Open. C’era qualcosa che girava tra i giocatori». Sulla rivalità con Alcaraz: «Siamo diversi in tutto, ma entrambi lavoriamo duro. L’accordo con i miei era che se a 24 anni non fossi stato nei top 200, avrei messo»

«Sto bene. Non ho ancora recuperato al cento per cento, mi servono ancora un paio di giorni. Sarò a posto per l’inizio del torneo. L’Open Usa è l’ultimo Slam della stagione, difendo il titolo: le motivazioni non mi mancano».
Dopo i tentativi di ricostruzione (che non sono vietati dalla legge) su come il virus a Cincinnati possa essere entrato nell’organismo di Jannik Sinner, il diretto interessato certifica la guarigione. Non era sbagliato pensare che il malessere circolasse nelle aree comuni, il numero uno tornato a parlare alla vigilia di Flushing conferma: «C’era qualcosa che girava tra i giocatori, anche altri non sono stati bene». Come ha recuperato? «Dormendo, niente di speciale».

Si riaccendono le mille luci di New York, in questi giorni spazzata dai venti di riflusso dell’uragano Erin, ma gli Us Open fa spallucce, sul centrale c’è il tetto ed è prevalentemente lì che il numero uno alzerà le barricate per proteggersi dall’assalto di Carlos Alcaraz: c’è la finale mancata di Cincy con cui risarcire tifosi e aspettative, gli dei del tennis sono in debito, da domenica con il primo turno scattano due settimane di attesa del più grande spettacolo del week-end. 



















































Sinner-Alcaraz, come a Roma, Parigi e Londra. «Ma prima o poi i rivali ci prenderanno: è solo una questione di tempo — spiega Sinner raccontando la rivalità con lo spagnolo come una fuga ciclistica a due —. E allora io sono impegnato a capire come migliorarmi, quali dettagli, in quali aree. È tutto positivo: in questo modo divento un tennista migliore». Gli opposti si attrarranno anche a New York? «Io e Carlos siamo diversi in tutto. L’unica cosa che abbiamo in comune è che lavoriamo duro». 

Jannik è tornato a farlo con Umberto Ferrara, un anno fa era arrivato solo con i coach e chiedeva «aria pulita» (clean air), reduce com’era dai mesi terribili del caso Clostebol. «È tutto cambiato, quello stress è passato, su Umberto ho già detto tutto, con lui mi concentro su come diventare un atleta migliore». Caldo e umidità si annidano anche a New York, è dal 2008 (Federer) che un uomo non riesce a riconfermarsi: «Quando a 13 anni ho lasciato casa, l’accordo con i miei è che se a 24 anni non fossi stato nei top 200, avrei messo. Troppi soldi, troppi sacrifici. Quello che arriva, è tutto extra».

22 agosto 2025 ( modifica il 22 agosto 2025 | 21:37)