Dare lo sprint al rinnovo dei contratti collettivi. Sul pubblico, l’ultima manovra di bilancio ha messo risorse e la intese stanno arrivando, solo per restare alle più recenti basti pensare ai dirigenti. Ora tocca al settore privato. La priorità della maggioranza e del governo è il rafforzamento della contrattazione.
Per le forze politiche è una delle bussole per sostenere il mercato del lavoro, i cui numeri parlano di occupazione in aumento e disoccupazione in calo. La volontà è risolvere uno dei nodi chiave per molti settori: i ritardi nella firma delle nuove intese che prolungate erodono il potere d’acquisto di milioni di lavoratori dopo gli anni dell’inflazione cavalcante che solo negli ultimi tempi ha iniziato a ritrarsi.
LE MISURE
La via per dare la spinta alla sigla delle nuove intese prende ora la forma dell’incentivo. Un modo per velocizzare le negoziazioni e, in caso di tempi che si allungano oltre il dovuto, arrivare ad adeguamenti automatici al costo della vita, recuperando almeno in parte quanto tolto dall’inflazione.
La soluzione è sul tavolo del governo con l’apertura della stagione di bilancio. Non è soltanto un modo per adeguare i salari al costo della vita, governo e maggioranza vogliono rafforzare la produttività e farà così partire un circolo virtuoso. La maggioranza prova ad accelerare sui rinnovi prevedendo di tassare meno gli incrementi retributivi nel caso i nuovi contratti siano perfezionati nei sei mesi immediatamente precedenti o successivi alla scadenza naturale. La Lega è capofila della proposta. Tra poche settimane si definiranno i dettagli.
Il ventaglio di soluzioni comprende la manovra, emendamenti a proposte o decreti a tema, il disegno di legge sul Lavoro in scrittura da alcune settimane. Da valutare è anche la natura stessa dei possibili incentivi. Alcune soluzioni sulle quali si ragiona ipotizzano uno sconto del 50% per tre anni sulla tassazione applicata ai rincari o, in alternativa, una tassazione Irpef agevolata, magari attorno al 5%: un sorta di tassa piatta che non gravi eccessivamente sul prelievo lasciando i soldi in tasca ai lavoratori.
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La proposta valuta anche interventi per scongiurare che il prolungato stallo nei rinnovi si traduca, come avviene ora, in una perdita potere d’acquisto per i lavoratori per colpa del costo della vita che aumenta. Per ovviare a questo problema si lavora a un meccanismo automatico di adeguamento all’inflazione. Come funzionerà il tutto? Se entro 24 mesi dalla scadenza dei contratti il rinnovo non sarà ancora perfezionato, ogni luglio e per ciascuno anno fino alla firma le retribuzioni sarà adeguata al cosiddetto indice dei prezzi al consumo armonizzati, ossia l’indicatore che confronta l’andamento dell’inflazione tra i Paesi dell’Ue, fissando come tetto massimo il 5%.
I DATI
Secondo gli ultimi dati Istat, i lavoratori in attesa di rinnovo sono circa 5,7 milioni. Nella prima metà dell’anno sono stati comunque recepiti dieci contratti, che hanno portato a un aumento delle retribuzioni medie orarie del 3,5%.
A settembre i tavoli riprenderanno con un appuntamento chiave. In agenda ci sono una serie di incontri per arrivare all’accordo dei metalmeccanici. All’inizi dell’estate, nella cornice della foresteria di Confindustria in via Veneto a Roma, industriali e sindacati si sono confrontati e hanno superato una serie di resistenze, anche grazie alla mediazione del ministero del Lavoro. Con l’autunno, il dialogo riprenderà (sul fronte pubblico invece la lente è sul rinnovo degli enti locali).
I numeri diffusi dall’Istat, intanto, raccontano una situazione nella quale le buste paga crescono anche se, in termini reali, la strada da percorrere per colmare il gap di potere d’acquisto con i livelli del 2021 è ancora lunga. La sfida è recuperare quanto eroso dall’inflazione negli ultimi anni. Alcuni passi si stanno già facendo: Istat stima che l’indice delle retribuzioni orarie registrerà un aumento medio del 2,7% tra luglio e settembre, con una crescita complessiva del 3,1% sull’intero anno.
L’Istituto nazionale di statistica nota inoltre che, pur restando ancora lunghi, i tempi per arrivare ai rinnovi contrattuali si accorciano: un anno fa l’attesa era di quasi due anni e tre mesi (27,3 mesi per l’esattezza), adesso è di poco più di due anni. Ancora troppi.
Il Carroccio, negli ultimi mesi, ha fatto della questione contrattuale uno dei suoi vessilli. La scorsa primavera ha lavorato a un proposta per far crescere i salari e favorire l’assunzione a tempo indeterminato degli under 30: l’idea era quella di far leva sulla decontribuzione, garantendo contributi zero per tre anni a chi assume giovani e prevedendo per i nuovi assunti con reddito fino a 40mila euro una flat tax al 5%.
La proposta di incentivare la firma delle intese tra organizzazioni datoriali e sindacati trova spazio anche nel disegno di legge delega sulla contrattazione ora in discussione al Senato. Tra i criteri, c’è annotato lo stimolo al rinnovo degli accordi «nel rispetto dei tempi stabiliti dalle parti sociali, nell’interesse dei lavoratori». Allo scopo, si parla di incentivi «volti a bilanciare e, ove possibile, a compensare la riduzione del potere di acquisto». Parole che risuonano nella nuova proposta.
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