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“Hostage” più la si segue e più pare di guardarsi allo specchio, purtroppo o per fortuna, dipende dal punto di vista. La miniserie political thriller creata da Matt Charman, è un appassionante e intrigante viaggio tra misteri, complotti, bugie e tradimenti, e dove aleggia un alone di realismo a tratti veramente inquietante. Il tutto a beneficio di Suranne Jones e Julie Delpy, due donne, due leader, diverse in tutto eppure accomunate dall’incertezza.
“Hostage” – La trama
Tempi duri per il nuovo primo ministro britannico Abigail Dalton (Suranne Jones). Eletta da pochi mesi, ha lanciato un programma politico ambizioso, che mira a ridurre le spese militari in favore di nuove politiche sociali, dando una sferzata sinistra decisa. Peccato però che se la debba vedere con una crisi del servizio sanitario nazionale senza precedenti, un’opposizione agguerrita e la necessità di rinsaldare i legami politici con la Francia. Unico problema, la sua omologa transalpina: Vivienne Touissant (Julie Delpy). Costei, trasformista e ambiziosa, si è alleata da poco con l’estrema destra del suo paese e più che creare una vera e propria alleanza programmatica tra le due nazioni, mira a ricattare e mettere all’angolo Abigail. Mentre le due sono indaffarate a scambiarsi proposte, trabocchetti e velenosi attacchi durante meeting, il marito di Abigail, il Dottor Alex Anderson (Bashy) in missione umanitaria presso la Guyana francese, viene rapito da un gruppo di misteriosi mercenari. Poco dopo vengono rese note le condizioni per il rilascio: Abigail deve dimettersi.
La leader francese più che aiutarla inizialmente cerca di spremerla a proprio vantaggio, salvo poi ritrovarsi anche lei in difficoltà dal punto di vista politico. Nel giro di poco tempo, le due donne saranno costrette a mettere da parte divisioni rivalità e divisioni, cercare di capire come fare assieme a superare una crisi, dietro la quale si muovono forze oscure, decise a rendere la democrazia un mero pupazzo nelle proprie mani. “Hostage” in 5 episodi, a dispetto di una partenza un po’ tentennante e che richiede anche un po’ troppo dalla sospensione di incredulità, riesce però rapidamente a ingranare la marcia, diventando un perfetto esempio di come creare una serie political thriller appassionante. “Hostage” si arma di colpi di scena assolutamente perfetti e soprattutto di una scrittura che sa dare alle due protagoniste una caratura, una complessità e una capacità di creare empatia nello spettatore non indifferenti. Al centro due donne, chiamate a confrontarsi con potere e responsabilità, con i media che sono un’arma a doppio taglio e dove alla fin fine si rischia sempre di confondere il proprio tornaconto con il bene del paese.
Un serie intrigante che sa come giocarsi le sue carte
“Hostage” deve molto a Suranne Jones, uno dei volti più popolari nel piccolo e grande schermo britannico. L’attrice è perfetta nel tratteggiare questa leader politica liberale, che crede nel compromesso, ma è anche adamantina nel difendere i propri ideali, la propria posizione, con una vita personale complicata e che si trova infine letteralmente sotto assedio. Idealista, sentimentale dietro le apparenze sensibile, deve però infine scendere sul sentiero di guerra e si dimostrerà capace di ogni sottigliezza, astuzia, di una adattabilità a cui fa da contraltare la sua alter ego. Julie Delpy non è neppure tanto velatamente ispirata a Marine Le Pen, così come Yvette Cooper e Angela Rayner paiono essere la fonte di ispirazione per il personaggio di Abigail. Metallica, velenosa, fredda, calcolatrice, a mano a mano che si va avanti in realtà scopre una personalità molto più complessa e anche qui va dato credito alla scrittura, che riesce a dare spazio a entrambe. Ci sono scontri verbali e dialoghi di altissimo livello, le vediamo sfidarsi e poi concordare strategie, in una miniserie che ci ricorda quanto è complesso il gioco politico.
Inutile dire che “Hostage” è una serie che ci parla del pessimo stato di salute della democrazia, assediata da una destra eversiva e fascista, da dei media privi di etica e controllo, dal denaro. La miniserie non si fa problemi ad affrontare anche il tema del maschilismo di ritorno. Questo risulta il grande, vero, sotterraneo nemico di due leader donne che, nel momento di difficoltà, si vengono aggredite palesemente in quanto tali e non semplicemente in quanto portatrici di un’idea o di interesse. I difetti riguardano alcune incongruenze della trama, con un finale troppo semplicistico e quel continuare a insistere sulla necessità di avere più donne al potere, quasi fosse la ricetta per salvare la democrazia. Una teoria già smentita da decenni, paradossalmente proprio dal Regno Unito (Margaret Thatcher e Theresa May non è che siano state un esempio magnifico). Detto questo, “Hostage” è sicuramente una gran bella novità per gli appassionati del genere e non solo, è la dimostrazione che quando vuole, Netflix, sa ancora tirar fuori delle sorprese quando non va per algoritmi e basta.
Voto: 7