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Insieme con Tour de France e Giro d’Italia, la Vuelta di Spagna è una delle tre grandi corse a tappe del ciclismo su strada, anche note come Grandi Giri. Come Giro e Tour, anche la Vuelta dura 21 tappe e – lo dice il nome – si corre in Spagna. Allo stesso modo di Giro e Tour capita però che parta dall’estero. Quest’anno per la prima volta lo farà dall’Italia: con le prime tre tappe in Piemonte, per poi andare in Francia e infine in Spagna, con un passaggio ad Andorra. Si inizia il 23 agosto, mentre l’ultima tappa sarà il 14 settembre.

Il Giro è partito fuori dall’Italia in 15 occasioni, l’ultima delle quali quest’anno, con le prime tappe in Albania. Il Tour è partito fuori dalla Francia 26 volte, l’ultima fu nel 2024, con una prima tappa da Firenze e arrivi a Rimini, Bologna e Torino. In generale, è comunque meglio non fidarsi troppo dei nomi del ciclismo: la Milano-Sanremo non parte da Milano da qualche anno, e sono ormai diversi decenni che la Parigi-Roubaix parte da Compiègne, che sta quasi 100 chilometri a nord di Parigi.

Nel caso di Milano e Parigi c’entrano questioni perlopiù logistiche e di distanze, che con il passare degli anni si sono accorciate. Nel caso dei Grandi Giri le ragioni sono più complesse: da una parte c’è l’interesse di stati, regioni o località a mettersi in mostra, attirare turisti e far girare l’economia; dall’altra l’interesse economico di chi organizza queste corse, che vende – spesso per milioni di euro – le proprie partenze dall’estero.

Per com’è fatto il ciclismo e per come sono fatti i confini, è facile intuire come mai certe corse abbiano spesso sconfinamenti all’estero: nel superare passi alpini o pirenaici, cosa frequente nel ciclismo su strada, si finisce spesso in un paese confinante. Il primo sconfinamento del Giro fu quasi di certo nel 1923, quando una tappa da Milano a Torino passò da Locarno, in Svizzera. E già nel 1965 e nel 1966 il Giro iniziò da San Marino e dal Principato di Monaco. Non era Italia, ma quasi.

La prima partenza lontana fu nel 1973, dal Belgio: era il paese di Eddy Merckx, il ciclista più forte di tutti i tempi (quel Giro lo vinse). Ma fu anche un modo per celebrare l’Europa con successivi passaggi da Germania Ovest, Lussemburgo, Francia e Svizzera.

Papa Paolo VI ed Eddy Merckx nel 1974 in Vaticano, da dove il Giro partì quell’anno (Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

Dagli anni Novanta in poi ci sono state partenze da Grecia, Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Irlanda del Nord e, nell’ultimo decennio, da Israele (per ora l’unica partenza fuori dall’Europa di un Grande Giro), Ungheria e Albania.

Il Tour finora ha avuto meno fantasia (o meno necessità di trovare soldi) ed è partito quasi sempre da paesi confinanti o comunque vicini. La Vuelta – più giovane e ancora meno importante rispetto a Giro e Tour – è stata più spesso in Spagna, e prima dell’Italia le più rilevanti partenze estere erano state dal Portogallo e dai Paesi Bassi.

Il Tour de France nel 2007 a Londra, Regno Unito (Christopher Lee/Getty Images)

Quest’anno la Vuelta è arrivata alla sua 80esima edizione e al suo 90esimo anno (la prima edizione fu nel 1935, ma fino agli anni Cinquanta l’evento saltò diversi anni). Sono due anniversari che la Vuelta avrebbe potuto celebrare restando in Spagna, dedicandosi magari a visitare luoghi particolarmente legati alla storia della corsa. Invece le prime tappe saranno dalla Reggia di Venaria a Novara, da Alba a Limone Piemonte, da San Maurizio Canavese a Ceres e da Susa a Voiron, in Francia.

La Vuelta parte dal Piemonte per motivi simili a quelli per cui Torino ospita le ATP Finals: perché la Regione conta di guadagnarci più di quanto ha speso. Si è parlato di un investimento, da parte del Piemonte, di 7 milioni di euro. La Regione Piemonte ha citato una ricerca, commissionata all’Università degli Studi di Torino, secondo cui nel 2024 la partenza del Giro e il passaggio del Tour dal Piemonte hanno avuto un impatto economico netto tale per cui «ogni euro investito ne ha generati circa otto».

La Regione parla di «effetto diretto (spese sostenute per l’organizzazione degli eventi sportivi e dal pubblico sul territorio), effetto indiretto (ricadute in altri settori) ed effetto indotto (impatto sui ricavi generati in tutti i settori)». Ma come sempre in questi casi è difficile isolare bene cause e conseguenze. Per esempio, non c’è modo di sapere per certo chi andrà in Piemonte solo perché, o anche perché, ha visto la Vuelta in TV.

Senza contare che anche il budget previsto spesso aumenta se si aggiungono altri costi, come quelli per riasfaltare le strade e metterle in sicurezza durante il passaggio dei corridori. Il magazine britannico Cycling Weekly ha scritto che per la partenza del Giro nel 2022 l’Ungheria spese 24 milioni di euro, e quando nel 2014 il Tour partì dall’Inghilterra si arrivò a un costo complessivo di quasi 30 milioni di sterline.

Un evento ciclistico per sua natura mostra luoghi e paesaggi, e concede tempo e spazio ad approfondite divagazioni extrasportive. Perciò è un modo efficace di mettere in mostra un territorio (i comunicati stampa in questo caso parlano di “vetrina prestigiosa” e “volano per l’economia”). Allo stesso modo l’evento ha a sua volta interesse nel cambiare contesto e andare a cercare altrove spettatori e appassionati. Non è un caso che Vuelta, Giro e Tour abbiano scelto più volte di partire dai Paesi Bassi, dove il ciclismo è molto seguito.

In certi casi le partenze dall’estero sono anche legate a ragioni storiche o sportive: si parla di una possibile partenza del Tour dalla Slovenia, il paese di Tadej Pogačar, e nel 2002 il Giro passò da Paesi Bassi, Germania, Belgio, Lussemburgo e Francia per celebrare l’Unione Europea e l’euro. Ben più dibattute sono state le partenze del Giro da Israele, Ungheria e Albania.

L’olandese Mathieu van der Poel in maglia rosa al Giro del 2022 a Budapest, Ungheria (Stuart Franklin/Getty Images)

Per candidarsi a ospitare la partenza di una grande corsa a tappe non c’è un processo ufficiale. I diretti interessati ne parlano, magari si “ufficializza l’interesse” (come fece la Regione Piemonte diversi mesi prima dell’ufficialità annunciata dalla Vuelta), ma non è come per le Olimpiadi o i Mondiali: non c’è una votazione. Vuelta, Giro e Tour sono eventi organizzati da aziende private. C’entrano molto anche i rapporti personali tra i rappresentanti delle parti: fu per esempio d’aiuto, nel far partire dall’Italia il Tour del 2024, che Davide Cassani fosse presidente di APT Servizi, l’agenzia di promozione turistica dell’Emilia-Romagna, da dove il Tour sarebbe passato. Cassani tra le altre cose è commentatore sportivo, ex ciclista ed ex commissario tecnico della Nazionale.

L’UCI, l’organizzazione che regola il ciclismo mondiale, lascia fare; e anzi concede che ogni quattro anni i Grandi Giri mettano a calendario un giorno extra per i trasferimenti legati a una partenza dall’estero (non è il caso della Vuelta di quest’anno).

A proposito dei trasferimenti, partendo dall’estero ci sono diverse complicazioni logistiche e implicazioni ambientali. Una grande corsa ciclistica è una carovana di migliaia di persone, mezzi e attrezzature (dei ciclisti, ma anche degli sponsor e delle TV al seguito). Partire all’estero significa spostare, in aereo o via nave, molte cose e molte persone. Succede anche per il Giro, che negli ultimi tre anni ha avuto la penultima tappa sulle Alpi e l’ultima, il giorno successivo, a Roma.

Non sembra però che i Grandi Giri vogliano rinunciare alle partenze all’estero. Nel 2026 la Vuelta dovrebbe partire da Montecarlo, già si sa che nel 2026 e nel 2027 il Tour partirà da Barcellona, in Spagna, e da Edimburgo, in Scozia. Sul Giro non c’è ancora niente di ufficiale, ma si parla di una possibile partenza dalla Bulgaria. E c’è chi ipotizza partenze da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita o Stati Uniti. Di recente il Guardian ha scritto persino di una possibile partenza del Giro d’Italia dall’Australia.