di
Davide Frattini
L’ambiguità strategica del premier prevede opzioni aperte. Gli analisti: condizioni che Hamas non può accettare
DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME – Scherzano gli israeliani: mentre la ministra dei Trasporti prende il volo per due settimane di viaggio ufficiale negli Stati Uniti, i treni restano a terra tra ritardi e interruzioni della linea. E si interrogano su quale binario Benjamin Netanyahu abbia convogliato la strategia del governo. Che nel suo caso coincide sempre con quella personale. Il proclama di giovedì sera — «ho dato ordine di occupare la città di Gaza e allo stesso tempo di trattare la fine della guerra» — sembra una contraddizione, ma il premier più longevo nella Storia di Israele è riuscito a restare sedici anni al potere proprio per la capacità di non chiudersi mai le alternative.
Questo «schema perpetuo» — come lo definisce l’analista Yonatan Touval sulla rivista Time — ha generalo la «guerra perpetua» nella Striscia, con offensive militari che tornano a distruggere aree già distrutte portando nomi da sequel: i Carri di Gedeone 2 si muovono in queste ore alla periferia della città di Gaza. «Il premier insiste a porre condizioni — scrive Touval — che Hamas non è disposta ad accettare. Quello che sembra movimento («ho detto di trattare») è tattica dilatoria, rinvio camuffato da risolutezza. È il suo metodo: la chiarezza forzerebbe una decisione, l’ambiguità lascia aperte le opzioni». Il politico sotto processo anche per aver accettato casse di champagne rosé e sigari cubani in cambio di favori accusa chi non lo segue, il milione di persone sceso in strada una settimana fa per protestare contro il governo e chiedere la tregua, di rappresentare i «privilegiati» nella società. Il politico che ha costruito le campagne elettorali sulle altezze che aveva raggiunto a fianco dei leder globali denuncia le «élite locali» di guardare gli altri israeliani — i suoi israeliani — dall’alto in basso. Eppure è lui a sembrare dissociato da quello che sta accadendo, dalle reazioni nel mondo ai quasi 63 mila palestinesi uccisi in ventidue mesi, alle immagini dei bambini denutriti.
L’unico indirizzo che conta
Un giornalista gli ha chiesto quando la situazione del Paese fosse stata più difficile. «Tante volte», ha risposto. «Anche solo un anno fa sotto l’amministrazione di Joe Biden». Perché — spiega Amit Segal, commentatore tv vicino alla destra — «il mondo» per Netanyahu è in effetti un’area molto piccola: «Un miglio di diametro tra il Campidoglio e 1600 Pennsylvania Avenue», l’indirizzo della Casa Bianca a Washington.
«Vittoria totale»
L’inquilino rientrante Donald Trump sta garantendo all’amico Bibi libertà di manovra, le pressioni perché fermi le battaglie — nonostante i suoi consiglieri ripetano di volere il cessate il fuoco — restano limitate. Anche tra i giovani repubblicani però si cominciano a sentire le critiche e 27 senatori democratici hanno firmato una lettera per bloccare l’invio di armi allo Stato ebraico. Netanyahu — conclude Segal — è convinto che lo sdegno e gli appelli al boicottaggio internazionali siano reversibili: basta vincere la guerra. Quello slogan della «vittoria totale» che neppure i generali sanno ormai come riempire di obiettivi concreti.
23 agosto 2025
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