di
Daniele Dallera

Lo storico club torna nel basket che conta, a guidarlo il figlio di Aldo Allievi, il patron dei grandi successi del passato: «In serie A non solo per restarci e presto un Arena che guarda al futuro»

Roberto Allievi sa di basket, è da una vita che se ne occupa, l’estate per lui è più fresca, aria di casa, il ritorno in serie A della sua Cantù è il passato glorioso che diventa presente e futuro. Il presidente Roberto Allievi è cresciuto bene, con il papà Aldo, creatore del fenomeno Cantù, dove negli anni 80 arrivavano gli inviati dei giornali americani per raccontare lo squadrone di questa cittadina brianzola che dominava in Italia e in Europa. Scrivevano con fantasia di «Cantucky». In quegli anni d’oro fanno e predicano pallacanestro (non a caso la Milano rivale e un po’ snob li chiama i «pretoni di Cantù») autentici maestri: sotto la paterna e affettuosa guida degli Allievi, creano campioni e talenti uomini come Taurisano e Bianchini in panchina, Morbelli, Corsolini e Arrigoni, manager dalla vasta cultura, non solo tecnica e sportiva.
 
Puff (non ciuff), finisce tutto, anni difficili, tristi, inizia la crisi, Cantù non è più lei, terra di campioni veri, dei Recalcati, dei Marzorati, dei Riva, dei Bosa, vive persino lo sbarco di avventurieri russi che con le loro strambe idee rischiano di far fallire tutto. Ma c’è sempre un Allievi, stavolta Roberto, che non sopporta di vedere finire male una storia così ricca, intensa, come quella di Cantù. «Sarei morto di crepacuore se Cantù fosse finita, come ha rischiato, in fallimento: quando i miei amici, che sono ancora accanto a me, mi hanno chiamato per riprendere in mano le redini della Pallacanestro Cantù, ho accettato la sfida. Un gruppo di imprenditori che ha risanato la società dal punto di vista economico e finanziario e gli ha dato un progetto sportivo». Sfida vinta dall’Acqua San Bernardo Cantù (sponsor fedele e amico), ai danni di Rimini, battuta sul campo. E non finisce qui: basta attendere, un annetto poco più, e la casa diventerà Arena, il nuovo palazzo dello sport di Cantù, basta col trasloco a Desio.

Allievi si può parlare di azionariato popolare a Cantù?
«La nostra è una società dove ci sono tante teste, una compagine molto estesa con un progetto proiettato nel futuro. Ma voglio aggiungere una cosa…».



















































Dica pure.
«Ho percepito una grande partecipazione alle sorti della Pallacanestro Cantù, come se tutta la nostra comunità, fatta di tifosi, pubblico, sponsor grandi e piccoli, si fosse identificata, si fosse sentita parte di questo grande progetto. E forse si è raccolta in un unico grande sogno perché poi alla fine lo sport è anche fatto di sogni».

Raccontano che lei abbia un dono, quello di essere l’uomo della sintesi. Sente, ascolta pareri e riflessioni, poi decide. È così?
«Ma non so, bisogna avere quella particolare saggezza che ti fa ascoltare tutti, le diverse opinioni, poi chiaramente occorre fare una sintesi. Abbiamo creato una struttura di comando abbastanza semplice, con dei punti di riferimento molto chiari e molto precisi».

Parlava di futuro e sogni: quello della serie A è stato realizzato. Ora cosa c’è davanti?
«Siamo brianzoli, con i piedi ben appoggiati a terra: dobbiamo consolidare la squadra e la nostra presenza in serie A. La nuova Arena ci porterà risorse supplementari, costruiremo una realtà ancora più competitiva e con un respiro magari europeo. Insisteremo con questo processo di consolidamento economico finanziario che ci possa garantire un futuro sicuro, certo e legato al territorio».

Bisogna confrontarsi con un mercato difficile. Ai tempi d’oro Cantù creava nel vero senso della parola giocatori, era maestra nella valorizzazione e nel lancio di giovani italiani. Un mondo e un metodo che non ci sono più…
«È cambiato tutto, adesso viviamo la concorrenza di college Usa che con una forte disponibilità economica vengono a prendere i giovani in Europa e in Italia: ci vorrebbe una regolamentazione in questo senso».

Che squadra state facendo?
«Sono al lavoro il nostro allenatore Brienza e il general manager Santoro: hanno fatto scelte oculate che ci hanno portato in serie A».

Che allenatore è Brienza?
«È un canturino, legato al territorio, è ambizioso, aveva altre offerte, ha scelto Cantù».

Lei Allievi si diverte ancora con questo basket?
«È cambiato radicalmente, molto più atletico, veloce, l’impatto fisico è dominante: sì mi diverto ancora».

Rivedremo Cantù in Europa?
«Prematuro parlarne adesso. Certo è che faremo una programmazione economica e finanziaria almeno triennale per formare una squadra competitiva a livello nazionale e internazionale». Cantù è tornata. Grande?

21 giugno 2025 ( modifica il 21 giugno 2025 | 06:57)