«La cosa che più mi spaventò, nelle settimane seguenti, fu la prontezza con cui avevo rubato il nome a mio fratello. Ora invece mi spaventa quanto mi fossi sentita a mio agio nell’abitare un corpo che non era del tutto il mio». Quando Alba si rivolge a lei declinando gli aggettivi al maschile, Cecilia, la protagonista tredicenne del romanzo d’esordio di Michela Panichi per Nottetempo, intitolato non a caso La Cecilia (pp. 264, euro 15,90), sceglie di assecondare la «svista» facendosi chiamare Luca come il fratello – in barba all’articolo femminile del titolo, in barba a tutto. Sembra la scena iniziale di Tomboy di Céline Sciamma, anzi è un’esplicita citazione del film (e non l’unica): Panichi, nonostante la giovane età, usa con disinvoltura le fonti a cui si ispira, intessendole nella trama con una prosa diretta e cristallina.

NEI ROMANZI di formazione, in cui rientra La Cecilia, il passaggio all’età adulta avviene spesso e volentieri in estate, ovvero in un tempo privilegiato per la scoperta di sé, e sospeso, tanto più se la storia si svolge su un’isola, in questo caso Ischia, precisamente nel borgo di S. Angelo, la cui spiaggia vista dall’alto ha la forma di una clessidra, come osserva la stessa Cecilia verso la fine del libro. Dietro gli scogli di Ischia, nei suoi anfratti sulfurei, sono celati segreti e bugie che alludono a una realtà scomoda e alle volte crudele: «il sesso violento degli animali, il piacere trovato tra le carene delle barche, corpi umidi e sudati, il sangue che ogni mese lascia il corpo». Il libro evoca l’atmosfera di bellissimi romanzi della nostra letteratura, da L’Isola di Arturo di Elsa Morante a Tu, mio di Erri De Luca; a Morante soprattutto sembrerebbe rifarsi l’autrice, in particolar modo nella scelta di affidare un ruolo significativo all’orecchino d’oro a forma di spirale (altra allusione al tempo?) trovato nello studio del padre: indizio minaccioso nonché testimone di una staffetta dolorosa – eppure necessaria – che rimanda ai tradimenti narrati ne La Cecilia come ne L’isola di Arturo.

Nel romanzo di Panichi si respira continuamente la sensazione di essere traditi, e il primo tradimento è quello che la stessa Cecilia compie nei confronti del proprio nome e del proprio corpo: ma è davvero così?
«Il mio nome lo aveva scelto mio padre, ed era il primo legame tra noi. Mentre il cordone ombelicale mi sembrava una cosa più fisica, più sporca e nodosa, e quindi lo aborrivo come la compagnia di mia madre, quelle tre sillabe mi sapevano di pulito». C’è già tutto in questo bellissimo incipit: il legame con il padre e il conflitto con la madre, la dicotomia pulito/sporco intorno alla quale si muove il libro seguendo un binarismo femminile-maschile solo in apparenza rigido e schematico.
In realtà maschile e femminile sono sospesi come nella stessa parola «cecilia» che nell’enciclopedia del fratello Luca (le cui voci scandiscono ogni capitolo) indica un anfibio: «La cecilia è un verme del Sud America, maschio e femmina, e non vede». Una descrizione perfetta della preadolescenza.

RAGAZZO MANCATO, come direbbe Simone de Beauvoir, Cecilia scopre la propria identità esplorando il corpo di Alba: «Disegnammo insieme, sul suo corpo, una geografia complessa e delicatissima. Pulita, come pulito mi sembrava il piacere delle femmine». Ma a sporcare questa impossibile ricerca di pulito sono gli odori di cui è intriso il romanzo, primo tra tutti quello salmastro di pavesiana memoria che unisce corpi e mare, a cui si aggiungono «l’odore ferroso del mestruo» e quello «selvatico dei maschi», mescolati all’odore dell’aglio, delle alghe, dell’acetone, della crema, e persino delle discussioni in cucina dei genitori.
L’iniziazione di Cecilia è un attraversamento e insieme uno sconfinamento dal proprio corpo nei corpi altrui: è solo in questo movimento, in questa esplorazione della differenza che la giovane protagonista si riavvicina al corpo materno, inizialmente rifiutato con violenza e poi riscoperto «come un’oasi di caldo»: una bella similitudine, forse un po’ ingenua come certi passaggi «edipici» del libro; e però La Cecilia può considerarsi un esordio maturo e davvero promettente.