23 agosto 2025
Da giorni piovono accuse furibonde contro Il Tempo, colpevole — secondo alcuni — di «criminalizzare» la causa palestinese. La verità è molto più semplice: stiamo scoperchiando il pentolone. Hamas e i movimenti che lo circondano non sono soltanto gruppi armati: sono soprattutto una gigantesca macchina da soldi. Vale il motto immortale di Giovanni Falcone, quello che ha permesso di smascherare la mafia siciliana: follow the money.
Il cuore iraniano
Il primo motore dei finanziamenti di Hamas e della Jihad Islamica Palestinese è l’Iran, tramite i Pasdaran della Forza Quds. Decine di milioni di dollari ogni anno, trasferiti con reti clandestine e cambiavalute compiacenti. Washington lo ha documentato: tra ottobre 2023 e gennaio 2024 sono state sanzionate intere catene di facilitatori in Libano, Turchia e Qatar. L’asse Teheran-Gaza resta la spina dorsale dell’apparato.
Il gettito «domestico» di Gaza
Per anni Hamas ha prosperato tassando la vita quotidiana dei palestinesi. Dai tunnel del Sinai (che fino al 2013 fruttavano circa 175 milioni di dollari l’anno) al monopolio su carburanti e cemento, fino ai dazi sulle merci importate. Una macchina fiscale parallela allo Stato. Con la guerra del 2024-2025 questo sistema è crollato: valichi chiusi, importazioni ferme, entrate azzerate.
Investimenti e società schermo
Dietro le armi, gli affari. Nel 2022 gli Stati Uniti hanno colpito il cosiddetto «Hamas Investment Office», rete di società in Turchia, Sudan, Algeria ed Emirati, stimata in centinaia di milioni. Costruzioni, immobili, materie prime: un portafoglio gestito come un fondo sovrano del terrorismo.
Hawala e criptovalute
Gli scambi informali sono la linfa. Dal 2019 gli USA hanno colpito operatori di cambio a Gaza come al-Mutahadun Exchange, usati per far arrivare denaro iraniano.
Dopo il 7 ottobre 2023, i canali digitali sono stati sequestrati a raffica: wallet in Bitcoin e USDT bloccati da Israele e Usa, fino all’operazione del marzo 2025 con il sequestro di 200.000 USDT. Tanto che Hamas ha interrotto le raccolte in Bitcoin nell’aprile 2023, ammettendo che il rischio di tracciamento era troppo alto.
Le ONG e le charity
Dietro il paravento della beneficenza, soldi a pioggia. La Holy Land Foundation negli USA (condanne definitive nel 2008-2009), la rete Union of Good designata nel 2008, e il caso Interpal nel Regno Unito sono esempi da manuale. ONG apparentemente rispettabili che dirottavano fondi verso la galassia palestinese armata.
Il cash del Qatar
Dal 2018 Doha ha inviato regolarmente valigie di dollari a Gaza, formalmente per stipendi pubblici e aiuti umanitari, con il via libera di Israele. Un fiume di denaro che ha alleviato la crisi sociale ma consolidato il controllo di Hamas.
L’ambiguità europea
C’è poi un capitolo tutto europeo. L’Unione Europea è tra i maggiori donatori di aiuti ai palestinesi: nel 2021 ha stanziato circa 275 milioni di euro, nel 2022 altri 296 milioni, cifra confermata nel 2023, fino ai 363 milioni previsti per il 2024. In totale, oltre 1,2 miliardi in quattro anni. Risorse destinate a infrastrutture, scuole e assistenza sanitaria, fondamentali per la popolazione civile. Bruxelles rivendica controlli rigorosi, eppure il problema resta: in un territorio governato da Hamas è difficile separare del tutto assistenza civile e dominio politico. Proprio per questo, nel gennaio 2024 l’UE ha adottato un regime sanzionatorio speciale contro chi finanzia direttamente Hamas e la Jihad Islamica, distinguendo con forza la solidarietà verso i civili dal sostegno al terrorismo.
La verità che brucia
Ecco il punto che i critici non vogliono affrontare: Hamas non vive di aria né combatte per ideale astratto, ma dispone di un sistema finanziario complesso, esteso e globale. Seguire i soldi significa scoprire una verità elementare: il terrorismo è un business, prima ancora che un’ideologia. E chi si volta dall’altra parte non fa un favore alla causa palestinese, ma solo alla violenza. Ci pensino su Albanese, Di Battista, Jebreal, Padullà e la variegata compagnia pronta a attaccare Israele sempre e comunque ma restia ad ammettere l’esistenza di un’altra faccia della medaglia.