Credo che gli Stati Uniti non possano dire agli altri Paesi come de-carbonizzarsi se essi stessi, intanto, falliscono in quello stesso obiettivo. Qualsiasi sforzo efficace per mitigare la crisi, alla fine, dovrà per forza includere perdite e danni per l’Occidente, e anche scambi tecnologici con il Sud globale. È l’unico modo per andare avanti. Dirò anche che, quando si fanno questi discorsi, talvolta si ignora la matematica pura e semplice, la quale dice che le emissioni del Nord globale hanno già raggiunto il picco, che quelle della Cina potrebbero presto raggiungerlo, e che è dunque il resto del mondo in via di sviluppo a dover assolutamente evitare i combustibili fossili affinché tutti noi possiamo almeno sperare che le cose vadano a buon fine. Quasi tutte le emissioni future proverranno dei paesi in via di sviluppo, e l’atmosfera non si preoccupa delle ingiustizie della Storia e della provenienza di una libbra di CO2. Nel libro, credo che il personaggio parli soprattutto del “collare shock”, che è fondamentalmente un prezzo globale del carbonio, perché ogni Paese che non includa il prezzo del carbonio nella sua economia ne soffrirà le conseguenze. Continuo a credere che questa sia una politica assolutamente imperativa, per varie ragioni, malgrado ci siano grandi ostacoli politici. Per esempio: quando l’Unione Europea ha annunciato che avrebbe imposto una tariffa di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM, Carbon Border Adjustement Mechanism), l’India non l’ha apprezzato, ma ha cambiato la linea di alcune sue politiche interne. Ora, c’è molto da fare nelle relazioni tra l’Europa e l’India, ma questo non significa che quella politica non fosse giusta. Lo è, e anche altri Paesi dovrebbero adottarla rapidamente.