voto
7.5

  • Band:
    ÅRABROT
  • Durata: 00:43:26
  • Disponibile dal: 29/08/2025
  • Etichetta:
  • Pelagic Records

Streaming non ancora disponibile

Vi è sempre un senso profondo nella musica degli Årabrot. Quali che siano le motivazioni che conducono il duo Nernes-Park a produrre nuova musica, non saranno calcoli commerciali o il semplice desiderio di colmare un vuoto temporale, le motivazioni sottostanti a un loro nuovo disco.
L’attuale conformazione del progetto – modificatosi nel tempo da ostile molosso noise rock a un ibrido di ardua classificazione, tra inflessioni gotiche, rock’n’roll, pop, musica per organo e cantautorato – prende ora una piega ancora differente dall’immediato passato.

Dopo due lavori scoppiettanti, colmi di momenti di stupefazione, esperimenti orecchiabili, scoppi di energia affiancati a soavi intimismi, ecco che gli Årabrot si ripresentano sotto una veste particolarmente docile. “Rite Of Dionysus” placa la fumigante carica di “Norwegian Gothic” e “Of Darkness And Light”, per cedere il posto a un disco dove a farla da padrone è un incedere salmodiante, etereo, sospeso tra delicate tessiture d’organo, chitarra acustica e vocalizzi che abbandonano quasi integralmente le scatenate invettive degli ultimi lavori.
Se una forma di racconto molto intima e onirica era divenuta ormai onnipresente nella produzione della coppia norvegese, questa dimensione prende il sopravvento in “Rite Of Dionysus”, che diviene così una specie di contraltare di “Of Darkness And Light”. I due album sono stati di fatto registrati assieme, durante le medesime sessioni di registrazione. Nonostante entrambi condividano alcune atmosfere, un alone rurale/pastorale/magico divenuto inconfondibile per le produzioni Årabrot, il risultato finale li distacca percettibilmente.

L’accento, più che sulla veemenza delle chitarre è su tappeti di sintetizzatori e organo, oppure su calme modulazioni di chitarra acustica, adornando così le tracce di pace, raccoglimento, estatica gentilezza. Viene meno pure l’inquieta indole sperimentale, sostituita da una ricerca di combinazioni sonore rasserenanti e solari, ancora pervase di qualcosa di leggermente straniante e stravagante, ma non così eccentriche o esplosive.
È quasi beffardo che una delle composizioni più caratterizzanti e tranquille sia “Rock’n’Roll Star”, quando di rock’n’roll la traccia non ne contiene proprio, snodandosi lenta e bucolica tra un tappeto di sintetizzatori lievissimi e un duetto altrettanto placido tra Nernes e la Park.
In altre occasioni l’atmosfera è posseduta da sentimenti più forti e un’energia intrinseca che si intuisce essere potenzialmente alta, ma rimane sempre trattenuta: è l’impressione suscitata ad esempio dal pathos di “The Devil’s Hut”, oppure dall’opener dal taglio quasi sacrale di “I Become Light”.
La vivace orecchiabilità di molti dei più riusciti episodi recenti affiora raramente, il caso più lampante è proprio della canzone intitolata come l’album precedente a questo, ovvero “Of Darkness And Light”: il suo pulsare elettronico e la voce un po’ più grintosa di Nernes ci guidano in un brano accattivante e a suo modo trascinante, tra beat ammiccanti e reminiscenze synth-pop. Una traccia che non va comunque a estraniarsi dallo spirito dell’opera, un flusso di pensieri e riflessioni tradotte in una musica dal taglio indefinito, confortevole per come tocca in vari punti la nostra anima, dandole conforto con la sua soffusa passionalità.

Per quanto si avverta talvolta un’eccessiva compostezza e la morbidezza complessiva porti a qualche limite nella fruizione completa del disco, “Rite Of Dionysus” porta addosso il singolare fascino tipico degli Årabrot. Anche quando ci sono alcune piccole lungaggini e il minimalismo pare fin troppo insistito – pensiamo a “Mother” oppure “Death Sings His Slow Song” – c’è un certo magnetismo a sostenere l’operato dei norvegesi, un marchio di fabbrica che ci attrae a dispetto di qualche piccola smagliatura compositiva e prestativa.
Non il capitolo più entusiasmante della loro discografia, probabilmente, eppure anche stavolta Kjetil Nernes e Karin Park ci ammaliano e ci fanno vivere un’esperienza unica, non stereotipata, autentica. Meritevole di essere vissuta.