di
Mario Platero

Trump vuole riformare la Fed e ha trovato una delle sponde più improbabili per raggiungere il suo obiettivo la democratica Elizabeth Warren

Ci sono un paradosso e una forte preoccupazione nella guerra a oltranza che il Presidente Trump ha ingaggiato contro il Presidente della Federal Reserve Jerome Powell. La preoccupazione riguarda una possibile riforma della Fed su cui Powell non potrà far molto. Il paradosso è che una riduzione dei tassi di interesse a breve, già al FOMC di settembre, suggerita ieri dal numero uno della Fed ai tradizionali incontri estivi di Jackson Hole, non è un cedimento alle continue pressioni della Casa Bianca, ma risponde a quella recente debolezza del mercato del lavoro che Trump in persona aveva respinto indignato appena un paio di settimane fa. 

Il destino di Powell

Ricorderete che il Presidente, il 4 agosto scorso, aveva addirittura licenziato la responsabile delle statistiche al dipartimento del Lavoro, Erika McEntarfer, accusandola di aver manipolato i dati, cosa priva di fondamento e mai successa prima. Dunque chiariamo: Powell continua a svolgere la sua missione in autonomia, conferma, «contro» Trump, la correttezza dei dati della McEntarfer e i mercati gli danno fiducia, tanto è vero che sulla notizia gli indici di borsa hanno segnato venerdì nuovi record. Naturalmente da qui a qualche mese dovremo vedere come andranno i tassi a lunga e, soprattutto, se la borsa reggerà a questi ritmi di aumento degli indici in un contesto di valutazioni che appaiono oggettivamente molto care. Intanto Powell, salvo imprevisti, reggerà per altri nove mesi, fino alla scadenza del suo mandato a maggio del 2026, poi potrà decidere se restare come consigliere fino al 2028. Ma fino a maggio, nonostante una retorica aggressiva dovrebbe restare indisturbato.



















































Il piano che spaventa Wall Street

La preoccupazione che si aggira negli ambienti del Congresso della Capitale è invece molto più seria. Dietro le cortine di fumo, gli attacchi (Trump vuole licenziare l’unica nera in consiglio Fed, Lisa Cook) le nomine improvvise, (in consiglio della Fed entrerà Stephen Miran suo consigliere economico e yes man che vuole affossare il dollaro) le giravolte sui candidati da proporre al posto di Powell (riuscirà davvero a prevalere uno dei due «Kevin» favoriti, Kevin Warsh o Kevin Hasset? O toccherà a Miran?). Insomma, dietro la confusione e le tensioni che riesce a generare questo Presidente americano anche per distogliere l’attenzione da vicende sgradite ( tipo files di Jeffrey Epstein), c’è un progetto che impaurisce Wall Street: una riforma per imbrigliare la Fed e sottometterla al potere politico. 

Una sponda improbabile tra i dem

È vero, di questa riforma Trump aveva già parlato addirittura nel suo primo mandato, ma il progetto non andò da nessuna parte. Ora invece Trump vuole fare sul serio e ha trovato una delle sponde più improbabili per raggiungere il suo obiettivo, Elizabeth Warren, senatrice e militante della sinistra democratica, sulla carta sua nemica di sempre, (ricordate? Lui la chiamava Pocahontas), ma non in materia di riforma Fed. In un articolo scritto un paio di giorni fa sul Wall Street Journal la Warren ha strizzato l’occhio a Trump (del resto l’aveva fatto già in precedenza) affermando che la Fed ha bisogno di più trasparenza e responsabilizzazione, ha aggiunto che la Banca Centrale ha da sempre favorito Wall Street su Main Street (slang per gente comune), che «i funzionari della Fed sono stati al centro di scandali etici e che generalmente la Banca Centrale respinge qualunque supervisione del Congresso «…l’Indipendenza è importante ma non può voler dire impunità …abbiamo bisogno di una riforma decisa e se Trump e i suoi alleati sono seri sulla responsabilizzazione [della Fed] dovrebbero appoggiare alcune delle mie idee», ha scritto la Warren ricalcando il populismo trumpiano.

Le richieste della senatrice Warren

La senatrice chiede un ispettore generale indipendente ( ora è nominato dal Presidente della Fed), un ripensamento del ruolo delle 12 banche regionali della Fed i cui presidenti votano su questioni di politica monetaria «senza alcuna supervisione»; un ridimensionamento degli executive di grandi banche che siedono nel consiglio della Fed «grazie a voti e procedure segrete provocando un conflitto di interesse». Poi continua allargando l’attacco alla Banca Centrale su quasi ogni fronte: sostiene che la Fed non è in grado di supervisionare le banche e ricorda la crisi subprime del 2007/2009 prima e il fallimento della Silicon Valley Bank del 2023 come esempi più recenti di grandi crisi esplose per via di un cattivo funzionamento della Fed. La Warren leader della minoranza nella Commissione Bancaria al Senato ha già messo nero su bianco queste e altre sue proposte per limitare la tradizionale autonomia della Fed, chiave per i mercati, in vari progetti di legge messi a punto in forma bipartisan con due senatori repubblicani di altre commissioni, Rick Scott, della Florida e Thom Tillis della Carolina del Nord. 

L’ipotesi di abolire il tetto sul debito

Il 4 giugno scorso è stato invece Trump ad aver aperto alla Warren su un altro fronte: «aboliamo il tetto sul debito», ha detto in un video, affermando di essersi sempre trovato d’accordo con lei sul tema. Infine, in un’altra conferma che gli estremi del populismo si toccano, il senatore democratico attivista ( e simpatico) Bernie Sanders, ha approvato l’idea di Trump di trasformare sussidi concessi al governo al settore dei semiconduttori in partecipazioni azionarie del governo. L’intesa ha avuto successo: proprio ieri il governo americano ha trasformato 5,7 miliardi di dollari in concessioni speciali e 3,2 miliardi di dollari assegnati ( come aiuti) a Intel per programmi di sicurezza in 433,3 milioni di azioni del gruppo chiave per i semiconduttori, pari al circa il 10% del capitale a un prezzo di 20,47 dollari per azione contro i 24 dollari per azione alla chiusura di venerdì. 

La convergenza dei populismi

Proprio il Wall Street Journal ricordava in un altro editoriale che certe azioni mettono a rischio il sistema capitalistico americano. Possibile dunque che si arrivi davvero a una riforma che ridimensionerà la leggendaria indipendenza della Federal Reserve? Con uno schieramento bipartisan di questo genere e con gli estremi della politica che partendo da posizioni lontanissime finiscono per toccarsi non possiamo escluderlo. Tra l’altro sul piano politico l’attivismo della sinistra nel contesto dei democratici su temi cosi delicati, crea spaccature e tensioni che indeboliscono il partito. Certamente su un possibile voto del Congresso per ridimensionare la Fed, l’eroico Powell non potrà far nulla. Anche questa, la convergenza dei populismi di destra e sinistra, è una dinamica da seguire nella crisi della democrazia americana.

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23 agosto 2025 ( modifica il 23 agosto 2025 | 08:19)