TITOLO: La strada
AUTORE: Cormac McCarthy
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2006
CASA EDITRICE: Einaudi
GENERE: Fantascienza, romanzo post-apocalittico

Direttamente da “La strada”:

Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso.

RIASSUNTO DELLA TRAMA DI “LA STRADA”

In un mondo ridotto in cenere dopo un’apocalisse non specificata, un padre e suo figlio percorrono una strada desolata verso sud, alla ricerca di un clima meno ostile e forse di una speranza. Non hanno un piano, solo una direzione, un carrello della spesa con poche provviste, e una pistola con due proiettili. Il mondo attorno a loro è un paesaggio bruciato, spoglio, dove ogni incontro può significare la salvezza o la fine. Il loro legame, fatto di poche parole, gesti protettivi, affetto muto, è la loro unica certezza.

“La strada” è una storia di sopravvivenza, ma anche di amore assoluto: quello di un genitore che, in mezzo alla fine del mondo, continua a credere nella necessità di proteggere, insegnare e tramandare un’idea di umanità. Un romanzo scarno e potentissimo, che parla dell’abisso ma anche della scintilla che ci tiene vivi.

COSA MI HA SPINTO A LEGGERE “LA STRADA“?

Qualche tempo fa, parlando con mio padre, è venuta fuori la Trilogia della frontiera di Cormac McCarthy. Me ne parlava con trasporto, ma anche con un certo rispetto: “non è una lettura facile”, mi disse. È proprio il genere di premessa che mi incuriosisce: quando un libro richiede tempo e dedizione, spesso ripaga con qualcosa che resta.

Avevo già sentito parlare de “La strada”, Vincitore premio Pulitzer per la narrativa 2007 e primo libro della trilogia. Ma lo conoscevo soprattutto grazie al film con Viggo Mortensen uscito nel 2009. Già allora, dai poster e dai trailer, traspariva un’ambientazione cupa, claustrofobica. Tutto lasciava presagire una lettura impegnativa, forse persino disturbante. Ma proprio per questo, irresistibile.

E poi, c’era il tema genitori-figli, che su Gamobu abbiamo trattato spesso. Per puro caso, mi sono più volte trovato a leggere storie di madri e figlie (penso a “Tatà” di Valérie Perrin, “Come d’aria” di Ada D’Adamo, “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio), o padri e figlie (“Bonjour tristesse” di Françoise Sagan).

Di padri e figli, invece, molto meno. A parte forse “Le otto montagne” di Paolo Cognetti.

Con “La strada” ero pronto a rifarmi del tempo perduto.

RECENSIONE DI “LA STRADA”
Una strada da percorrere in due

C’è stato qualcosa di poetico nel leggere un libro come “La strada” su suggerimento di mio padre. Il romanzo racconta, dopotutto, proprio di un padre e un figlio. In un mondo devastato e senza nome, camminano insieme in cerca di salvezza. Il paesaggio è desolato, la minaccia costante. Ma nel cuore della storia c’è un legame, fragile e potente allo stesso tempo: quello tra un uomo che ha già visto troppo e un bambino che ancora crede, o spera, nel bene.

Il loro è un rapporto tutto da ricostruire. Un passato segnato dall’assenza — la madre/moglie ha scelto di abbandonarli — pesa come una colpa collettiva e mai davvero detta. Il padre, allora, si fa carico del figlio: della sua sicurezza, della sua crescita, della sua speranza. Tutto il suo mondo si restringe a quell’obiettivo: proteggerlo. Ed è proprio in questa radicalità che si manifesta la forza emotiva del romanzo. Perché in un mondo in cui niente ha più senso, salvare una sola persona può diventare l’unico senso possibile.

Un mondo senza appigli

Il contesto di “La strada” è duro da affrontare, e non solo per i protagonisti. Anche per noi lettori, ogni pagina è una discesa. Il mondo che Cormac McCarthy descrive non ha più alberi, né animali, né colori. È un paesaggio spoglio, bruciato, ridotto a cenere. Le poche persone che ancora vivono sembrano più ombre che esseri umani: diffidenti, affamate, capaci di ogni orrore.

In questo scenario, il contrasto tra padre e figlio diventa centrale. Il bambino, nonostante tutto, conserva uno slancio verso l’altro. Chiede spesso al padre di aiutare chi incontrano. È una voce di innocenza che resiste. Il padre, invece, è più duro, spinto da un istinto animale: proteggere, sopravvivere, anche a costo della pietà. Eppure non è cinico. È solo stanco. In lui non c’è cattiveria, ma una lucidità spietata. Ed è proprio in questo gioco di contrasti che McCarthy ci sfida: fino a dove saremmo disposti ad arrivare per salvare chi amiamo? E a quale prezzo?

Anche i personaggi secondari sono ritratti ambigui, figure evanescenti e mai del tutto affidabili. McCarthy ci costringe a sospendere il giudizio, a muoverci in quella zona grigia dove nessuno è davvero innocente e nessuno, forse, è completamente perduto. Il lettore si scopre coinvolto, scosso. Perché quel mondo è distante, ma anche molto vicino — e forse lo sarà sempre di più.

Immagini Gamobu negli articoli - La strada di Cormac McCarthy

Amazon price updated: 23 Agosto 2025 10:42Una scrittura ridotta all’osso

Lo stile di McCarthy è forse una delle sue scelte più radicali. La sua prosa è essenziale, scheletrica, quasi senza punteggiatura. I dialoghi non sono incorniciati, le frasi si susseguono secche, crude, come il paesaggio. Ma in questa asciuttezza c’è un’enorme potenza espressiva. Ogni parola pesa, ogni silenzio racconta.

Il ritmo è lento, contemplativo. Ogni notte che i protagonisti sopravvivono, anche noi lettori sospiriamo con loro. È una lettura immersiva, ma che richiede impegno. McCarthy non ci offre consolazioni, eppure — paradossalmente — non smette mai di cercare la bellezza. Anche solo nella tenerezza di una coperta condivisa, in una mela trovata, o in una parola gentile. È un libro spogliato come lo è il mondo che descrive. Ma proprio per questo, le piccole cose risaltano con un’intensità straordinaria.

“Portiamo il fuoco”

Una delle frasi più potenti del romanzo è quella che il padre ripete al figlio, quasi come un mantra:

“Siamo i buoni, vero?”
“Sì, siamo i buoni.”
“E portiamo il fuoco.”
“Sì. Portiamo il fuoco.”

Questa immagine del fuoco ha una forza simbolica enorme. Non è solo speranza. È umanità, è memoria, è responsabilità. In un mondo dove tutto è collassato, “portare il fuoco” vuol dire conservare ciò che ci rende umani. È ciò che il padre vuole trasmettere al figlio: non solo sopravvivere, ma vivere senza dimenticare chi siamo.

E se da un lato il padre è pronto a tutto pur di proteggere il bambino, dall’altro sembra consapevole che non può proteggerlo da tutto. Il fuoco allora diventa l’eredità più preziosa: un principio da tramandare, una scintilla da tenere accesa. Starà al figlio, un giorno, decidere se e come continuare a portarla.

Questa tensione tra protezione e trasmissione — tra il presente del padre e il futuro del figlio — è il cuore pulsante del romanzo. E in quel passaggio silenzioso di testimone si nasconde tutta la poesia e la tragedia di “La strada”.

Cosa resta

Alla fine, cosa mi porto via da questa lettura? Prima di tutto, una riflessione profonda su quanto amore ci sia nel silenzio dei genitori, nelle loro scelte invisibili, nei loro sacrifici spesso non compresi. Il padre di “La strada” si carica sulle spalle un peso immenso, e lo fa con un’intensità quasi sacrale. Non chiede nulla in cambio. Non cerca riconoscenza. Sa solo che deve farlo.

E poi resta il fuoco. Quel fuoco che, in fondo, è ciò che tutti dovremmo provare a portare: la nostra umanità, i nostri valori, la capacità di distinguere il bene dal male anche quando tutto intorno sembra dire il contrario. È una lettura dura, ma necessaria. E proprio come quel figlio alla fine della storia, anche noi — una volta chiuso il libro — possiamo solo chiederci: sapremo portarlo anche noi, quel fuoco?

A CHI RACCOMANDO “LA STRADA“?

“La strada” non è un romanzo per chi cerca evasione o leggerezza. È una lettura impegnativa, cruda, eppure capace di scavare in profondità con una delicatezza inaspettata. Lo consiglio a chi non ha paura di affrontare le parti più oscure dell’essere umano, ma anche a chi cerca storie che sappiano parlare d’amore — un amore che non ha bisogno di troppe parole, ma che si dimostra ogni giorno, con gesti piccoli e feroci.

È una lettura ideale per chi ama le narrazioni post-apocalittiche, ma con una dimensione intimista e riflessiva. Se vi sono piaciuti titoli come “The Road” (il film), “The Last of Us”, o certi romanzi di Kazuo Ishiguro e José Saramago, probabilmente apprezzerete anche McCarthy. Ma più di tutto, “La strada” è per chi, ogni tanto, sente il bisogno di fermarsi e domandarsi: cosa resta davvero, quando resta solo ciò che conta?

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