Drake arriva all’Unipol Forum per quattro concerti tra fine agosto e inizio settembre. Dalla coppia con PARTYNEXTDOOR al nuovo capitolo “Iceman”, numeri record e controversie, fino alla ricezione italiana: perché il rapper canadese continua a essere il baricentro della cultura pop globale.
Milano si è presa Drake, e non per caso. Annunciate inizialmente due serate (29 e 30 agosto), poi raddoppiate a quattro con l’aggiunta dell’1° e 2 settembre, le date all’Unipol Forum segnano l’approdo in grande stile del canadese in Italia: un mini–residency che trasforma la notizia di cronaca in termometro culturale. È la tappa tricolore del tour europeo $ome $pecial $hows 4 EU con PARTYNEXTDOOR come special guest.
L’anno della ripartenza
Il 2025, per Drake, è l’anno delle ripartenze raccontate a viso aperto. A San Valentino è uscito l’album collaborativo con PARTYNEXTDOOR, $ome $exy $ongs 4 U, subito n.1 nella Billboard 200 con 246.000 unità: un primato che allunga la sua scia di debutti in vetta e certifica la centralità commerciale del progetto, nonostante recensioni spesso tiepide. Il singolo “Nokia” ha poi alzato l’asticella visiva: videoclip girato in IMAX dal fidato Theo Skudra, tra citazioni torontine e carnevalesche, a ribadire quanto il linguaggio drake-iano sia anche immagine e regia del proprio mito.
Drake è un’ecosistema
È però con l’era “Iceman” che Drake rimette al centro il proprio racconto. “What Did I Miss?”, presentata in livestream e pubblicata il 5 luglio, ha debuttato al n.2 della Hot 100: un brano in cui fa i conti – nomi inclusi – con l’eco della faida con Kendrick Lamar, tra risentimento e riflessione sull’idea di lealtà. A fine luglio è arrivata “Which One” con Central Cee, scivolosa su cadenze afro/dancehall: la dimostrazione che Drake continua a metabolizzare idiomi globali senza perdere centralità pop. Il disco Iceman è stato annunciato/teasato, senza data, come nuovo capitolo solista. La fenomenologia di Drake, oggi, passa da una fluidità estetica che pochi possono permettersi. È l’artista che ha trasformato la vulnerabilità in linguaggio mainstream – alternando egotrip e confessioni, ostentazione e malinconia – mentre attraversa i generi (rap, R&B, pop da playlist, afrobeat, dance) con un talento curatoriale che sa leggere il presente e incapsularlo in canzone. La sua “firma” non sta solo nel timbro o nel flow, ma nel montaggio emotivo: pezzi pensati per vivere nello streaming, hook che diventano didascalie social, barre che chiedono di essere memetizzate, visual che alzano lo standard dell’“evento” musicale. Non è un rapper che fa hit: è un ecosistema che riscrive, di volta in volta, il modo in cui le hit esistono.
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Uno dei baricentri assoluti dello streaming globale
I numeri restano la grammatica della sua egemonia, ma raccontano solo una parte. Nel 2025 piattaforme e monitoraggi indipendenti hanno riportato che Drake ha superato i 110 miliardi di stream su Spotify (conteggi complessivi), a conferma di una profondità di catalogo senza equivalenti; allo stesso tempo, le classifiche cumulative di lungo periodo mostrano un testa a testa con Taylor Swift per il primato all–time, con differenze metodologiche tra conteggi “da lead” e “da featuring”. Tradotto: il canone si aggiorna in tempo reale, e Drake resta comunque uno dei baricentri assoluti dello streaming globale. Dentro questa centralità, la critica continua a interrogarlo. C’è chi lo vede in fase di heat check dopo lo scontro con Lamar, capace di singoli efficaci ma in cerca di un nuovo fuoco creativo, e chi sottolinea come l’era “Iceman” – tra livestream, auto–narrazione e scelte di produzione – provi a riallineare personaggio e pubblico. L’impressione, ascoltando gli ultimi brani, è che Drake stia tornando al suo registro più competitivo, ma attraverso la lente che gli è più naturale: melodie appiccicose, cinismo romantico, controllo totale del racconto.
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Ricezione italiana: come lo leggiamo noi
Per l’Italia, l’arrivo di Drake è una prima volta in grande formato. La sede è un Forum che parla la lingua dei grandi show internazionali; il calendario, esteso fino a quattro date “a grande richiesta”, testimonia una domanda che travalica la nicchia hip hop e intercetta l’ascolto trasversale e da playlist tipico del nostro mercato, oggi trainato in larga parte dallo streaming in abbonamento. È l’ultimo tassello di un Paese in cui il rap locale domina le classifiche, ma che riconosce in Drake il codice sorgente di una certa scrittura sentimentale e notturna che ha influenzato linguaggi, mood e persino la metrica di molti artisti italiani dell’ultimo decennio. In platea, a Milano, ci aspetta il catalogo–mondo: da “Marvins Room” a “Hold On, We’re Going Home”, da “One Dance” ai capitoli recenti, con il tassello inedito di un concerto che arriva mentre l’artista è nel mezzo di un nuovo racconto. È proprio qui il suo segreto: sapersi adattare senza perdere coerenza, aggiornando i codici del pop globale con un filtro personale immediatamente riconoscibile. Drake è ancora l’unità di misura: del successo, del dibattito, dei numeri e – soprattutto – del modo in cui la musica pop sa parlare d’amore, potere e identità nell’epoca dell’algoritmo.
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