di
Gennaro Scala

Le vittime: Domenico Santangelo, ex capitano della marina mercantile, sua moglie Gemma Cenname, ostetrica, e Angela, la figlia 19enne di Domenico. Fu ucciso anche il cagnolino. L’indagine riaperta dal dna. I sospetti e gli errori

Un mistero lungo cinquant’anni e un triplice omicidio rimasto senza colpevoli. A Napoli è ancora ricordata come «la strage di via Caravaggio».

Accade tutto una sera che sembra uguale a tante altre, il 30 ottobre del 1975.
Siamo al quarto piano del civico 78 di via Caravaggio a Napoli, strada che collega i quartieri Vomero e Fuorigrotta. Domenico Santangelo, 54 anni, ex capitano di lungo corso, è nel suo studio. In cucina c’è la moglie, Gemma Cenname, 50 anni, ostetrica. Domenico è vedovo e ha una figlia, Angela, 19 anni, che vive con loro. Non sta bene, Angela. Ha un po’ d’influenza, e dice a Gemma che non avrebbe cenato, che sarebbe andata a letto presto.
Una sera come tante, fino al suono del campanello, attorno alle 23.30. È Domenico ad aprire, non sa che dietro la porta c’è il suo assassino.
Lo conosce, lo invita ad entrare. Gli offre da bere. Poi una lite e la furia cieca. Muoiono tutti, ma l’orrore verrà scoperto dopo diversi giorni. Le finestre restano chiuse, la corrente elettrica è stata staccata. Gli orologi elettrici sono fermi, l’ora è fissata sulle 5 del mattino.



















































L’8 novembre, il nipote di Gemma, Mario Zarrelli, chiede aiuto alla polizia perché era troppo tempo che non riusciva a contattarla. Quando gli agenti entrano nella casa la scena è raccapricciante.
Angela viene trovata nel letto matrimoniale, avvolta in una coperta intrisa di sangue. In bagno, nella vasca colma di acqua stagnante, ci sono i corpi di Domenico, di Gemma e perfino quello del piccolo Dick, lo yorkshire di famiglia. Sul pavimento lunghe scie di sangue raccontano che i cadaveri sono stati spostati. Per gli investigatori le armi del delitto sono due. Un corpo contundente — un fermacarte o una statuetta — mai ritrovato. È quello che colpisce sulla testa il capitano. Dick abbaia, si agita. L’assassino lo soffoca con la copertina del suo giaciglio. Poi tocca a Gemma, colpita in cucina, e infine ad Angela, sorpresa nel corridoio. Dopo i colpi una serie di fendenti. La seconda arma è un coltello.

Non è solo la brutalità a sconvolgere, anche i dettagli: due bicchieri di whisky lasciati sul mobile della radio, mozziconi di sigarette francesi e Ms italiane, più di un’impronta insanguinata di scarpa «lunga 29 centimetri, numero 41-42», si legge in un’informativa; a terra altri due mozziconi di sigarette senza filtro, marca Gitanes, il tavolo apparecchiato e mai sparecchiato per due persone. Ma c’è sangue anche lì, sulla tovaglia, dove viene rilevata l’impronta da contatto di un coltello con lama seghettata. Non era tra quelli inventariati nell’appartamento. Sparito, come la statuetta.
Su un mobile due bottiglie di whisky e di brandy con impronte digitali. Non sono delle vittime, ma non saranno mai identificate. Anche la Lancia Fulvia amaranto del capitano sparisce dal garage.
Sono spariti solo la pistola regolarmente detenuta di Santangelo e il diario segreto di Angela.

Con il passare del tempo nessuna pista esterna prende corpo. La lente degli inquirenti si concentra allora sulla famiglia. E i sospetti cadono su un nome: Domenico Zarrelli, detto Mimmo, nipote delle vittime, il fratello di Mario, quello che ha allertato la polizia. È un 33enne alto e robusto, studente di giurisprudenza fuori corso, amante della bella vita.
Ha una ferita alla mano. Per gli inquirenti è compatibile con un morso del cane Dick, ma lui la spiega con una caduta mentre spingeva la propria auto in panne. C’è poi la testimonianza di un sarto che racconta di aver visto la Lancia Fulvia scendere a gran velocità guidata da un uomo «con la testa grossa e molti capelli».

Il 25 marzo 1976 Mimmo Zarrelli viene arrestato. Due anni dopo, il tribunale lo condanna all’ergastolo: per i giudici avrebbe ucciso zio, zia e cugina per un prestito rifiutato. Ma il processo cambia rotta in secondo grado. A difenderlo è il fratello, che ricorre in appello e riesce a ottenere un’assoluzione per insufficienza di prove. Poi c’è un annullamento in Cassazione e un nuovo dibattimento. Fino al 1985, quando arriva la sentenza definitiva di assoluzione con formula piena. Mimmo Zarrelli è innocente. Non è lui l’autore della strage.
Trent’anni più tardi, nel 2016, lo Stato gli riconoscerà un risarcimento per ingiusta detenzione e danni morali.

Sembra la fine della storia. Non lo è. Nel 2014 la polizia scientifica riapre i faldoni, riesamina i reperti dimenticati nei sotterranei di Castel Capuano. Dai mozziconi di sigarette, da uno strofinaccio insanguinato, emergono tracce di dna. Alcune sono considerate «compatibili» con quello di Zarrelli. Altre invece sono riconducibili a due individui mai identificati, ribattezzati «Ignoto 1» e «Ignoto 2». Resteranno tali. Si pensa possa essere la prova scientifica che mancava quarant’anni prima. Non è così. Perché la comparazione viene fatta con alcuni capelli di Zarrelli conservati tra i reperti, ma il sacchetto che li conteneva non risulta chiuso e il rischio di contaminazione è troppo alto. Quindi, nessuna prova e un’inchiesta che sfocia in un’archiviazione chiesta dalla procura. Senza contare il principio del «ne bis in idem», ovvero il divieto di processare due volte la stessa persona per lo stesso fatto. Il caso viene chiuso, i reperti distrutti. Il 27 ottobre 2015 la Gip del tribunale di Napoli Livia De Gennaro, che firma la sentenza di archiviazione, si esprime in maniera molto critica sull’inchiesta, parlando di «assoluta inaffidabilità degli esiti investigativi». «L’unico dato incontrovertibile e certo — scrive ancora la gip — è costituito dalle sentenze passate in giudicato che hanno assolto Zarrelli ritenendolo estraneo ai fatti». All’archiviazione ha provato a opporsi l’avvocato Gennaro De Falco, legale di una nipote di Domenico.

Ormai tutti i protagonisti della storia sono morti. Il mostro di via Caravaggio forse ha più di un volto, o forse non lo si è mai davvero cercato.

24 agosto 2025