Ricciardo, dopo il suo ritiro dalla F1, sta gradualmente raccontando aneddoti legati alla sua carriera ed ha iniziato dal suo soprannome.

Daniel Ricciardo ha svelato la storia che c’è dietro il soprannome che gli è stato attribuito durante la sua carriera in Formula 1.

In circa 15 anni come pilota di F1, ha totalizzato 257 partenze, 3 pole position, 8 vittorie, 32 podi e più di 1.300 punti. Ha, inoltre, rappresentato team come HRT, Toro Rosso (in seguito AlphaTauri/RB), Red Bull, Renault e McLaren. E nel suo tempo nello sport gli è stato affibbiato un nome, l’Honey Badger.

L’australiano ha spiegato che il Tasso del Miele era come un suo alter ego. Infatti, ogni volta che entrava nell’abitacolo lui non era più Ricciardo, ma si trasformava.

Quest’animale è diffuso in Africa, nell’Asia sud-occidentale e nel subcontinente indiano ed è famoso per la sua aggressività, forza e tenacia, con una pelle così spessa da resistere a diverse punture e morsi.

Il 36enne ha affermato che i Tassi del miele sono “teneri e carini”, ma quando gli prendi qualcosa reagiscono senza paura. Ricciardo si è rivisto molto nel loro modo di essere, data la sua competitività in pista e il suo comportamento rilassato fuori dalle corse.

F1 Ricciardo soprannomeF1 | Ricciardo e la storia del suo soprannome: “Era il mio alter ego quando mi mettevo al volante”
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I tassi del miele

In una recente intervista, Daniel Ricciardo ha raccontato come la sua natura tranquilla fuori dalla pista e la sua competitività in macchina abbiano portato a questo soprannome insolito.

L’australiano ha dichiarato: “I tassi del miele sono teneri e carini, bellissimi. Ma quando qualcuno gli ruba ciò che è loro, reagiscono. E credo che fosse un po’ come il mio alter ego quando mi mettevo al volante.”

Considerato il suo carattere mite, il 36enne ha ammesso di essersi dovuto mettere d’impegno per tirare fuori quell’alter ego. Ha sviluppato il suo “istinto omicida” man mano che aumentava la sua esperienza nello sport.

Ho sempre avuto un carattere combattivo dentro di me fin da bambino; ​​ero sempre competitivo in tutto ciò che facevo. Ma l’istinto omicida ho dovuto svilupparlo e mi sono impegnato per tirarlo fuori. Sono tranquillo di natura”, ha spiegato.

“Uno dei miei primi allenatori all’epoca, Stu Smith, mi ha davvero tirato fuori tutto. Ho dovuto impegnarmi, ma quando mi sono lasciato andare mi sono sentito bene: è bello essere dei duri a volte.” – ha aggiunto l’australiano – “Avrei speso troppe energie cercando di essere sempre un duro perché non è naturale per me. Vedevo altri piloti che avevano quell’istinto omicida dalla mattina alla sera e avrei voluto essere come loro.”

Penso che la gente mi vedeva ridere e scherzare, e lo considerava un segno di debolezza e mi sottovalutava. Ma io indossavo il casco e pensavo: ‘Ok, ora è il momento di essere un duro come gli altri’.”

Il suo istinto omicida

“L’istinto omicida” di Daniel Ricciardo si è notato al meglio durante i suoi incredibili sorpassi. Infatti, il 36enne si è distinto per una serie di frenate tardive e sorpassi audaci nel corso della sua carriera in F1.

L’australiano ha commentato: “Ci sono molti piloti che potrebbero scendere in pista da soli ed essere veloci, ma quando ci vanno insieme ad altri 20, è tutta una questione di abilità in gara. E i sorpassi sono una parte importante di questo.”

Diventa piuttosto spaventoso perché c’è un po’ di imprevedibilità e di rischio. Potresti essere al terzo posto e pensare: ‘Beh, ho un podio, devo rischiare di scendere?’. Ma è la cosa più divertente, e ho sempre pensato che fosse meglio perdere posizioni che non provarci”, ha ammesso l’Honey Badger.

Ero arrivato al punto in cui per me era solo istinto. Accetti che se non funziona puoi essere orgoglioso di averci provato. Mi piaceva molto, e sentivo che i miei avversari mi avrebbero visto arrivare e avrebbero capito che ci avrei provato. Quindi ero già un passo avanti”, ha concluso Ricciardo.

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Immagine copertina: F1

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