di Valeria Vignale
Cantante e attore, è papà di un ragazzo «destinato a essere inabile. Le terapie che gli hanno consentito di parlare, leggere, scrivere e avere amici andrebbero garantite a tutti». Il ruolo della moglie, da sempre dietro le quinte: «Si è dedicata totalmente a lui per dargli un futuro». E quello dell’altro figlio, fratello gemello: «Un po’ una vittima tra noi, bisogna dargli moltissime attenzioni»
Sono passati 45 anni esatti dalla canzone che gli ha dato il nome d’arte, Elio, eppure quel pezzo oggi è introvabile. «E lo sarà ancora. Voglio che resti misteriosissimo. Così tutti immagineranno un capolavoro anche se, invece, era una cazzata» sghignazza lui. Anche il testo? «Anche quello fa parte della mitologia. Magari cambierò idea, a ottant’anni». Stefano “Elio” Belisari ne ha compiuti 64 ma non ha perso il graffio dei 20, la voglia di prendere il mondo a sberleffi, musicali e non solo. Con Elio e le Storie Tese, il gruppo creato nel Milanese nel 1980, ha pubblicato 10 album più altri 14 tra raccolte e “live” che però non bastano a raccontare la sua storia. Cantautore e comico (LOL – Chi ride è fuori di Prime Video), showman e giudice di X-Factor, attore per il teatro e il cinema (tra i titoli recenti, Gloria! di Margherita Vicario), dal 28 agosto sarà nelle sale con la commedia Tutta colpa del rock di Andrea Jublin, con Lillo Petrolo nel ruolo di un musicista caduto in disgrazia e finito in prigione che, per riconquistare la libertà e l’affetto della figlia, forma una band di reclusi. Tra loro: un ombroso detenuto detto “il professore” (lui), il suo compagno di cella (Maurizio Lastrico), un trapper (il rapper Naska).
Le storie di riscatto sono nelle corde di Elio che, padre di due gemelli di cui uno autistico, promuove iniziative di musica e impegno sociale. Ha ideato il Concertozzo, arrivato alla 4a edizione e definito “la Woodstock dell’inclusione” perché a servire cibo e drink sono ragazzi neurodivergenti. Gli stessi che lavorano a PizzAut, la catena di pizzerie fondata dall’omonima onlus lombarda che si batte, dal 2017, per dare occupazione alle persone autistiche.
Cosa l’ha spinta a girare Tutta colpa del rock?
«Intanto la presenza di Lillo: con lui ho un legame forte dal 2021, quando abbiamo partecipato a LOL – Chi ride è fuori. Come me ha creato un gruppo musicale strano, Latte e i suoi derivati. E poi il film racconta come in carcere possa emergere un’umanità meravigliosa, cosa che io stesso ho constatato andando a cantare o a parlare con i detenuti: non voglio fare il libro cuore ma è un luogo dove le persone sono costrette a guardarsi dentro mentre nella nostra quotidianità, fatta di gesti meccanici, sfuma il senso profondo delle cose. E della libertà, stiamo perdendo pure quelle conquistate a caro prezzo».
Quali realtà carcerarie ha conosciuto?
«L’istituto di Bollate è quello che mi ha più colpito in positivo: fanno molto per recuperare le persone e hanno la percentuale più bassa di recidivi. Non li chiudono buttando la chiave, come certi esponenti politici vorrebbero».
Contro i gesti abituali e meccanici, ha citato una frase di Elio Petri: «L’ultima linea di resistenza è fare le cose bene». Un motto?
«È più attuale che mai e ringrazio Giuliana De Sio per avermela fatta scoprire (hanno recitato insieme a teatro in Storia d’amore e d’anarchia di Lina Wertmüller nel 2002; ndr). Oggi si fa tutto di corsa e male, meccanicamente appunto. Chi fa le cose con cura non ha spazio. In questo mondo fa presa chi pontifica sui social pur non avendo competenze. È così anche nella musica: la mia generazione era abituata ad ascoltare un intero disco con attenzione. Oggi molti reggono mezzo minuto, neanche il tempo di lasciarsi emozionare. E cosa capiscono?».
Nei suoi testi ha sempre puntato sui giochi di parole. Quando ha scoperto questa sensibilità per la scrittura?
«Mi pare di aver sempre giocato con le parole e la musica, lo facevo a scuola, con gli amici. Non ho mai dovuto sforzarmi per sparare cazzate, e se il cazzeggio fa ridere gli altri sono solo contento. A volte mi fermano per strada e mi dicono: “Siete stati importanti in un periodo difficile”. È il complimento che mi inorgoglisce di più».
Ridere è un valore?
«Ci aiuta a sopportare le cascate di informazioni scoraggianti, e non ce ne sono state mai così tante. È un bisogno sottovalutato, al quale andrebbe data la giusta importanza. Certi comici sono come santini, per me. E vivo questo mestiere come una specie di missione, anche se non vado a dirlo troppo in giro perché suona esagerato».
Chi sono i suoi “santini”?
«Tanti, da Totò a Paolo Villaggio fino a Corrado Guzzanti e Carlo Verdone, e potrei andare avanti».
Lei fa ridere anche con il look e i travestimenti. È vero che ha un parrucchiere per le sopracciglia?
«Le sopracciglia sono l’unica cosa rimasta come prima, si sono imbiancate appena. Inizialmente era un gioco spontaneo, oggi che è più organizzato non posso fare a meno di stilisti e truccatori. Altrimenti come avrei avuto la parrucca a forma di bosco verticale usata per LOL?».
Dopo averla intervistata, Walter Veltroni ha percepito in lei anche una vena malinconica.
«Mah, sono etichette. Vedendomi in giro “normale”, molti mi percepiscono triste e mi chiedono: “Cos’hai?”. Non ho niente, semplicemente mica rido pure mentre faccio la spesa al super».
A settembre va in scena da solo con il recital La rivalutazione della tristezza, accompagnato al piano da Alberto Tafuri (date sul sito elioelestorietese.it). È un titolo ironico o vuole commuovere?
«È uno spunto per cantare brani bellissimi e toccanti della nostra storia. Cosa sono le nuvole? di Pier Paolo Pasolini che Domenico Modugno intonava nel film Capriccio all’italiana. O i pezzi che Lina Wertmüller mi raccontò di aver scritto insieme a Nino Rota per lo sceneggiato Giamburrasca: mi chiese di portarli a teatro e fu una scoperta. Tutti ricordano Viva la pappa col pomodoro ma ci sono testi che toccano vertici altissimi di tristezza. Alla fine dello show sdrammatizziamo con pezzi allegri».
«Ho idee rivoluzionarie per condurre Sanremo: i pezzi si ascoltano da casa via Qr code, in tv si chiacchiera con gli ospiti e l’immancabile Fiorello»
Sono Giamburrasca pure Elio e le Storie Tese. Come nascevano i vostri testi tra sfottò generazionale e denuncia sociale?
«All’inizio mi basavo su quello che succedeva a me, poi lo sguardo si è allargato ad amici e conoscenti. Cara ti amo è un “meglio di”, ci sono dentro parole e situazioni di molti di noi. Abbiamo pescato dall’attualità. Ricordo un pezzo degli inizi nato da un titolo di Brescia Oggi: Settore giovanile targato travagliato. Era fantastico, con Rocco Tanica decidemmo di usarlo: non c’era testo, ripetevamo solo quella frase».
Nel 2017 avete annunciato il vostro scioglimento come i tutti i grandi gruppi ma, come gli altri, continuate a fare reunion e tour. Un’altra burla?
«Le band fanno così perché l’addio tira moltissimo. Per noi, la prima reunion non ha avuto l’eco dello scioglimento. Difatti abbiamo in calendario un ri-scioglimento. I nostri maestri sono i Pooh, che hanno fatto una tournée epocale per salutare, in cui piangevano tutti, e sono ancora in giro che suonano».
«Le sopracciglia sono l’unica cosa rimasta come prima, si sono imbiancate appena. Oggi per averle così non posso rinunciare a stilisti e truccatori»
Poi c’è stata Arrivedorci, canzone del vostro quarto Sanremo, classificata ultima (2018). Tornerete mai al Festival?
«È improbabile. All’inizio era molto bello, e ridevamo moltissimo, alla quarta volta è diventato tutto troppo prevedibile».
E se fosse per condurlo?
«Quello sì, e ho anche dato delle idee. Rivoluzionarie. Innanzitutto un Festival senza canzoni, perché ormai contano più gli ospiti e gli intermezzi: con un QR code si scaricano e ascoltano i pezzi a casa mentre in tv si chiacchiera con gli invitati e con Fiorello, che è immancabile. Poi sorteggerei gli abbonati e farei cantare i pezzi, sempre d’autore, con l’autotune così non stonano. Due vantaggi: la Rai risparmia perché non deve chiamare i grandi nomi e la serata finisce prima. Idee che non passeranno mai».
Come ricorda il debutto di 45 anni fa?
«Non mi pare vero sia così tanto tempo fa. Sono passato proprio di recente con mio figlio da via Mar Jonio, in zona San Siro, dove abbiamo suonato per la prima volta. Oltre a Elio cantavamo Il sciur Francesco, una specie di punk milanese che morì presto, e Sono un artista, sono un autista perché alla fine riaccompagnavo tutti con la mia macchina».
I suoi figli ascoltano le vostre canzoni?
«Li lasciamo liberi di fare quello che vogliono».
Un paio di anni fa Dante è salito sul palco del Concertozzo e ha citato La terra dei cachi. Anche lui lavora a PizzAut?
«No perché ha 15 anni, il figlio del fondatore Nico Acampora invece sì perché ne ha 16. E pensare che era stato condannato a essere inabile. Bisognerebbe garantire a tutti quelle terapie comportamentali che portano questi ragazzi a parlare, leggere e scrivere, avere degli amici. Mia moglie si è dedicata totalmente a lui per dargli un futuro. E ci terrei a salutare da queste pagine le altre mamme di figli autistici: la loro vita è una battaglia, ogni giorno devono trovare la forza di andare avanti. Il Concertozzo è nato per fare informazione e smuovere le istituzioni».
Di sua moglie nessuno sa il nome. Come siete riusciti a mantenere l’anonimato?
«Ha fatto tutto lei. Gli antichi romani dicevano che l’uomo è la testa ma la donna è il collo che decide come muovere il capo».
Il fratello gemello è un sostegno per Dante?
«In famiglie come la mia i fratelli sono un po’ le vittime, bisogna dare loro moltissime attenzioni. Si chiama Ulisse come il nonno di mia moglie, Dante invece è il nome di mio nonno. Un giorno sentendoli chiamare, al parco, una mamma si è avvicinata commentando: “Che nomi strani”. Quando le ho chiesto come si chiamava suo figlio, ha risposto “Kevin”. Il percepito attuale è che Kevin sia un nome “normale”, mentre Dante e Ulisse sono strani».
A proposito di nomi: a casa la chiamano Stefano o Elio?
«Ormai sono Elio per tutti, pure mia nonna mi chiamava così. Ormai se sento Stefano non mi giro neppure».
CHI E’ STEFANO BELISARI, IN ARTE ELIO
La vita
Stefano Belisari, a tutti noto con lo pseudonimo di Elio, ha compiuto 64 anni il 30 luglio scorso. Nato a Milano, ha due figli gemelli ora quindicenni, Ulisse e Dante. Della moglie e madre dei due ragazzi non si conoscono nè il nome nè il volto per una sua precisa scelta di privacy. Il figlio Dante è affetto da autismo e per i ragazzi con questa patologia Elio ha creato da qualche anno Il Concertozzo. In un’edizione della manifestazione Dante è salito sul palco con il padre.
La carriera
Nel 1980 ha fondato il gruppo Elio e le Storie Tese con amici del liceo scientifico Einstein di Milano. Del gruppo attuale fanno parte Sergio Conforti (RoccoTanica), Nicola Fasani (Faso) Marco Mangoni (Mangoni), Davide Civaschi (Cesareo), Antonello Aguzzi (Jantoman) e Christian Meyer. Elio si è poi anche dedicato alla recitazione recitando in 10 film. Quello del debutto al cinema, nel 1999, fu Asini di Antonello Grimaldi, il più recente, nel 2024, è stato Gloria! di Margherita Vicario. Nel suo percorso anche tre serie tv: Banane nel 1990, InvaXon – Alieni nello spazio (2007) e Bonus Track (2014).
L’ultimo film
Da giovedì prossimo Elio sarà nei cinema con Tutta colpa del rock (foto sopra) di Andrea Jublin, con Lillo Petrolo.
24 agosto 2025
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