Roma – Un mondo in cui fa sempre più caldo, la sera si sfiorano i 50 gradi, i rapporti umani sono sempre più fragili e si ricorre persino ad agenzie per noleggiare sconosciuti con cui fingere di avere un’amicizia, un matrimonio, un qualche tipo di legame, anche familiare: è questa la realtà raccontata nel film Don’t Let the Sun della regista Jacqueline Zünd, produzione italo-svizzera presentata al Festival di Locarno, dove ha portato a casa il premio per la Migliore Interpretazione dell’attore georgiano Levan Gelbakhiani nella categoria Cineasti del Presente.
Non una distopia, ma una minaccia concreta. Tutto ciò che viene descritto, in fondo, “si vive già da qualche parte sulla Terra”, come ha spiegato Zünd. La storia è quella di Jonah (Gelbakhiani), un giovane di 28 anni che, mentre lavora per un’agenzia che fornisce relazioni umane su richiesta, si ritrova a fare da padre a Nika (l’attrice Maria Pia Pepe), la cui madre (Agnese Claisse) ha scelto di averla da sola, e scopre una nuova parte di sé: “L’idea è nata mentre ero in Giappone per un altro progetto. Lì ho scoperto che esiste davvero un’azienda che consente di affittare qualsiasi contatto sociale, puoi chiedere che qualcuno ti aspetti alla stazione quando ritorni dalle vacanze, ma pure che ci siano persone al tuo funerale. Così ho iniziato a pensare alle nostre relazioni umane, come cambiano, come sono influenzate dal mondo esterno”.
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youtube: il trailer di Don’t Let the Sun
Il set allestito alle Lavatrici di Genova
Nel film predomina l’architettura brutalista, “perché stavo cercando di rappresentare attraverso gli edifici la fragilità umana – ha spiegato la regista – All’inizio volevamo girare a San Paolo, in Brasile, perché è una vera e propria città brutalista, ma era complicato in termini di co-produzione e pure dal punto di vista politico”.
Allora è stato scelto di fare soltanto riprese dall’alto in Brasile, dove sono state rimosse le persone dalle strade con gli effetti speciali. Per il resto, i set sono stati allestiti a Milano e Genova, in particolare nel complesso abitativo Monte Amiata e in quello delle cosiddette Lavatrici: “A Milano abbiamo sfruttato tutto il potenziale della città, sia in periferia sia in altri posti come i giardini di Porta Venezia o il Museo di Storia naturale – ha raccontato Davide Pagano, produttore – Ma tutto è nato praticamente da Monte Amiata, che è uno spazio veramente molto interessante e particolare con quei corridoi colorati di rosso e giallo. Jacqueline si era innamorata di questo posto e da lì poi abbiamo costruito e cercato anche le altre location”.
Zünd, che ha scritto la sceneggiatura insieme con Arne Kohlweyer, ha scelto di trattare il tema dell’alienazione e della solitudine all’interno di un contesto più ampio e ugualmente urgente, ossia quello del riscaldamento globale: “Mi piaceva avere il cambiamento climatico come sfondo – ha rivelato – Non volevo puntare al pubblico con il ditino da maestrina e impartire una lezione. Penso sia più potente così, come contesto, e non è poi così lontano dalla nostra realtà”.
I personaggi vivono di notte perché il caldo mattutino è insopportabile, una suggestione che Zünd ha ricavato dall’esperienza personale in Kuwait per un documentario sull’effetto del caldo sulle persone. In quell’occasione ha provato come in alcune parti del mondo in estate si possano raggiungere temperature elevatissime.
Dopo il debutto a Locarno, il film verrà distribuito nei cinema in Svizzera e successivamente dovrebeb essere disponibile anche in altri Paesi.